Maddalena Molteni intervista Ludovico Arte MM: Si vocifera che tu sia riuscito a quintuplicare nel giro di otto anni le iscrizioni alla tua scuola, l’Istituto Tecnico per il Turismo Marco Polo di Firenze. È vero? Come hai fatto? LA: È una cosa lunga... Cercherò di essere sintetico. Ho cercato di rendere la scuola un po’ meno pallosa. Le scuole superiori sono tristi e grigie, e c’è l’idea che più è triste e grigia, più la scuola è seria. Per cui si entra in ambienti in cui, francamente, non si vorr ebbe mandare il proprio peggior nemico: edifici respingenti, aule anonime, scuole caserma in cui bisogna stare zitti e ascoltare e basta: ordine e disciplina! Quindi ho preso questo palazzaccio brutto della periferia di Firenze e l’ho sciupato un po’ Ho c ominciato a far fare murales, dipingere corridoi, bagni, scrivere parole sui muri. In questi giorni Peeta, un famoso street artist veneziano, sta dipingendo la facciata. Abbiamo messo una barca all’esterno, due aule per fare lezione all’aperto, pouf, parqu et. Abbiamo iniziato a rompere la monotonia e a movimentare gli ambienti. Ciò non rende più divertenti le lezioni di italiano e matematica, ma sicuramente contribuisce a dare l’idea di un luogo in cui ci si prende cura del benessere di chi ci sta e di un l uogo in cui ci si mette costantemente in discussione. Poi io credo molto nella tecnologia: la tecnologia non fa diventare bravo un cattivo insegnante, ma può aiutare in molti modi; solo per fare un esempio: in questi anni abbiamo avuto vari casi di alunni che sono dovuti restare a casa per molti mesi a causa di seri problemi di salute. Abbiamo mandato da loro un tecnico che ha montato su un portatile un software che permette di seguire le lezioni in diretta da casa, come se fossero in aula : in questo modo h anno evitato di perdere l’anno scolastico... Ma ti potrei fare moltissimi altri esempi di grande utilità della tecnologia. Poi stiamo cercando di fare un grosso lavoro sull’accoglienza e le relazioni. I o per esempio non prendo appuntamenti: tutti possono en trare in presidenza quando vogliono per parlare con me; poi abbiamo psicologi , nutrizionisti, educatori che fanno tutti i giorni attività di ascolto. Ci sono ragazzi delle quarte che vanno dai ragazzi più piccoli per aiutarli nelle assemblee, li accolgono il primo giorno di scuola e così via. I ragazzi più grandi aiutano i più piccoli a fare i compiti e per questo ricevono uno sconto di 400 € sui viaggi studio. La nostra è una scuola a indirizzo linguistico, per cui cerchiamo di stimolare l’apprendimento de lle lingue spingendo i ragazzi a fare esperienze di studio in giro per il mondo: attraverso Erasmus e scambi gratuiti, i nostri ragazzi vanno a studiare in Europa, stati Uniti e Cina. Siamo una scuola che prova a darsi un'identità e a mettersi in discussio ne. Io dico sempre che le scuole superiori in questo paese non hanno nessuna identità. Noi abbiamo fatto scelte di un altro tipo: per esempio io non faccio entrare i cani antidroga a scuola, abbiamo aperto una scuola di italiano per migranti. Insomma, abbi amo fatto scelte politiche e culturali molto forti, che per esempio ci hanno portato ad avere delle interrogazioni in consiglio comunale da parte di Casa Pound. Insomma, la nostra è una scuola che ha provato a smuovere delle cose e quindi è conosciuta come una scuola che prende posizione e questo ha attirato le simpatie di molti ragazzi. Di un po’, ma è vero che i giovani d’oggi sono maleducati, superficiali, pigri, malvestiti, puzzano, si drogano e ascoltano musica di merda? No, aspett a , rispondo io: Sì , è vero! Ma o più o meno di quelli di ieri? Mio padre , che è scomparso quest’anno a novant’anni, mi raccontava sempre di una stele millenaria su cui c’era scritto “Dove andremo a finire , coi giovani d’oggi ? ”. Questo è un discorso vecchio. Un discorso che non mi appartiene. Si può ragionare su cosa è cambiato, non su cosa sia meglio o peggio. Anche a me dicevano che la musica che ascoltavo era una musica di merda. Una domanda da parte di un lettore che desidera restare anonimo (ovvero mio marito Michele Gussoni) . Q uesto lettore anonimo domanda: la droga! QUANDO (e, badiamo bene: non “se”) troverò mio figlio in possesso della bustina sospetta, come dovrò approcciare la questione? La sequestro e me la fumo, oppure... Insomma, qual è il modo migliore di comportarsi? Intanto bisogna vedere se il genitore lo vie ne a sapere , perché purtroppo il problema è che nella maggior parte dei casi i genitori non lo vengono a sapere. Nella mia scuola è capitato più volte che qualche genitore si lamentasse con me del fatto che “un compagno” avesse passato della droga al figl io (n.d.a.: il famoso “compagno che sbaglia”. Una prece per tutti i compagni di classe, amici, cugini e conoscenti che nel corso dei decenni sono stati accusati della seri e: “Mamma ti giuro non è mia ! L a sto tenendo per un amico”... Seeeeeeee... Ciao!) E io di solito rispondo: “Signora, se vuole possiamo anche fare un discorso sul fatto che la scuola debba controllare , eccetera, però forse dovrebbe chiedersi perché suo figlio l’abbia presa quella droga dal compagno”. Io continuo a pensare che i ragazzi cosiddetti cattivi, a scuola, siano più sani di quelli cosiddetti bravi. A volte il ragazzo che fa saltare il banco è più sano di quello che prende appunti e ubbidisce alla scuola noiosa. Forse quel ragazzo ch e protesta sta dicendoci delle cose che dovremmo ascoltare attentamente. E qualche volta anche il ragazzo che fa uso di sostanze ci racconta di un disagio che dovremmo ascoltare, invece di reprimerlo e censurarlo: dovremmo prima di tutto domandargli il per ché, anziché incazzarci, punirlo, non farlo uscire, eccetera. Io penso sempre che la cosa migliore che la scuola possa fare a questo proposito sia essere una scuola più interessante, perché se io riesco ad appassionare il mio ragazzo alla musica, all’arte, allo sport, alla matematica, lo porto lontano e to lgo acqua all’uso di sostan z e. Invece più la scuola è pallosa, più alimenta il disagio dei ragazzi e quindi è inutile dirgli “non ti drogare”, se gli creo un contesto stressante e noioso che in un certo se nso lo spinge verso quelle cose lì. Un aneddoto: u na psicologa mi raccontava che durante un intervento in una scuola , un ragazzo le ha rivelato di aver iniziato a fare u s o di sostanze proprio dopo l’incontro con uno psicologo che parlava di droga a scuola: al ragazzo era garbata la descrizione di alcuni effetti di una sostanza e aveva voluto provarla. Si è convinti che spiegando ai ragazzi gli effetti delle droghe e avver tendoli del fatto che fanno male, poi loro ne stiano lontani, ma il processo non è mai così lineare e razionale, soprattutto se non vai a indagare come sta il tuo ragazzo e come fa re a farlo stare meglio. Prima mi ha detto di aver fisicamente impedito ai carabinieri coi cani antidroga di entrare a scuola. Perché l’ha i fatto? Di mmi la verità, c’avev i una bella piantagione di marijuana sul terrazzino della presidenza? Questo lo hanno sospettato in parecchi ! È successo un episodio molto carino che posso raccontare: una mattina di qualche anno fa sono venuti i carabinieri e mi hanno detto “Buongiorno preside. Vorremmo fare un giro del le aule: abbiamo fuori i cani e siamo venuti a controllare che non ci sia droga all’interno della scuola ”. Lo fanno regolarmente e spesso sono i presidi che li chiamano, proprio per cercare di dare un segnale. A quel punto io ho risposto: “Mi spiace ma io non sono d’accordo: secondo me non si fa così la lotta alla droga e non voglio che un cane giri per le aule, punti i miei ragazzi e annusi i loro zaini. Io ho un’altra idea di questa questione. Poi, v o i siete le for z e dell’ordine e se volete entrare potete farlo, ma un minuto dopo io chiamo i giornali e comunico pubblicamente che si ete entrati contro il volere del preside, facendo un atto di forza. Legittimo, ma sempre un atto di forza ”. Abbiamo avuto una lunga discussione e alla fine non sono entrati. Qualche giorno dopo sono stato convocato in caserma e abbiamo avuto parlato a lung o del bene dei ragazzi: loro mi dicevano che volevano entrare per il bene dei ragazzi e io rispondevo che non li avevo fatti entrare per il bene dei ragazzi. Abbiamo parlato tutto il pomeriggio su quale effettivamente fosse il bene dei ragazzi. La mia idea è molto semplice: a scuola si fa educazione. Sarebbe molto facile se un cane risolvesse il problema della droga. A parte che spesso non trovano nulla perché i ragazzi sono furbi e riescono a sbarazzarsene prima. Al limite m ettono paura a qualche ragazzino, quelli più smaliziati ricominciano un minuto dopo... Ma il problema è sempre lo stesso: se tu non vai ad affrontare il motivo per cui un ragazzo fa uso di sostanze , non risolvi nulla: il problema si risolve aiutando i ragazzi a stare bene, punto! Poi io dico sempre che per me la canna non è un dramma: molti degli adulti che oggi si scandalizzano, da ragazzi si facevano le canne dalla mattina alla sera e se le fanno pure da cresciuti, mentre quando scoprono che loro figlio si è fatto una canna, casc ano dal pero come fosse una cosa scandalosa. Detto questo, ovviamente non è bene che i ragazzi si facciano le canne a scuola, però che i ragazzi vengano annusati da un cane, umiliati e portati in caserma davanti a tutti, è una scena che io, nella mia scuol a, non voglio vedere. Sempre un lettore che desidera restare anonimo e che per comodità chiameremo Michele G. chiede: come lo tiro su un maschio perché non mi diventi maschilista? A questo punto mi aggancio io e chiedo: come la tiro su una femmina perché non mi diventi maschilista? Anche qui potrei raccontare un piccolo aneddoto: una volta ha bussato alla mia porta un quattordicenne il quale, tutto titubante, mi raccontò di aver visto durante la ricreazione un ragazzo più grande che appiccicava la propria ragazza al muro, per poi darle delle botte . Il quattordicenne non se l’era sentita di intervenire perché nessuno, neanche tra i più grandi , aveva fatto nulla e lui era piccolino. Quando sono riuscito a scoprire il nome del ragazzo coinvolto, l’ho c onvocato in presidenza. Una volta interrogato sul modo in cui si era comportato, lui mi ha dato una risposta incredibile per un quindicenne: “ Sì, io ho alzato le mani, però, preside... Anche lei è un uomo: lo sa come sono fatte le donne, a volte ti fanno per dere la pazienza”. “Io non so come sono fatte le donne, non credo siano fatte così, in ogni caso non puoi alzare le mani”. Comunque lui non ha capito. Ho cercato di parlargli, spiegare, ma alla fine non ha capito. Comunque la scena si è conclusa così: dopo 10 minuti mi hanno bussato di nuovo alla porta ed era la sua ragazza che veniva dall’infermeria e che piangendo ha iniziato a difendere il suo ragazz o, dicendo che lui era un bravo ragazzo, che avevano avuto una discussione , ma che sicuramente lui non voleva farle male. Il giorno dopo erano in corridoio a baciarsi. Questa storia interroga su che tipo di ragazzi e ragazze stiamo crescendo. Che si fa? No n è facile , perché l’educazione non si fa con le prediche. Io tendo a pensare che questi ragazzi abbiano avuto in casa modelli sbagliati: modelli di padri violenti e madri che hanno subito. Ma anche a scuola, dove in genere non si alzano le mani, ci sono m olte forme di prev a ricazione. Per esempio , dire : “Zitta tu che parlo io”, è una forma di prevaricazione e ci sono insegnanti maschi che lo fanno verso le donne in modo maschilista. E ci sono ragazzi maschi che non riconoscono l’autorità dell’insegnante femmina: a volte sono stranieri, ma anche italiani. Lì c’è una partita molto important e che dovrebbero giocare le donne e le insegnanti per farsi rispettare e per far capire che le persone si rispettano a prescindere dal genere. La cosa mi gliore che noi possiamo fare da adulti è interpretare il maschile e il femminile in modo corretto, insegnando loro attraverso il modo in cui ci comportiamo tra noi adulti e nei confronti di loro ragazzi, che le persone si rispettano TUTTE. I ragazzi di og gi, in media, sono sessisti? Secondo me, tendenzialmente no. Erano più sessisti un tempo: ai miei tempi c’era un maschilismo molto più forte. Adesso c’è molto più rispetto, poi qualc uno che fa il cretino c’è ancora, ma in misura molto minore rispetto al passato. In media sono più incendiari o più pompieri? Più idealisti o più pragmatici? Più intransigenti o più lassisti? Più romantici o più cinici? Più fragili o più resilienti? Hanno senso tutte queste domande? È meglio che mi fermo? No perché io posso andare avanti a snocciolare dicotomie per una buona mezz’ora. Se dovessi fare una media direi che sono più “bravi ragazzi” di un tempo , a l di là di quello che si racconta. Da me vengono e dicono: “Preside, stavamo pensando di occupare... Ma lei cosa ne pensa?” Allora io gli rispondo: “Ma perché volete occupare? Ragioniamoci!” Allora ci ragioniamo e alla fine concludono: “Va beh, dai! È una cazzata: non occupiamo ”. Intendiamoci, non è che io pensi che debbano mandarmi affanculo, però c’è un momento in cui i ragazzi devono esprimere la loro rabbia e la loro conflittualità Ma m ediamente i ragazzi di oggi, quelli che vedo io nella scuola, sono più fragili nel senso buo no: più carini, meno conflittuali e meno arrabbiati. Hanno un rapporto più dialogante. Forse sono anche meno autonomi , perché p urtroppo la scuola tende a reprimer e la loro individualità e ad addestrarli: la scuola, ancora, funziona al 90% che io parlo e tu stai zitto e ascolti , poi parli solo quando te lo dico io, cioè quando ti interrogo e a quel punto tu devi ripetere le cose con le parole che ho usato io, così ti metto un bel voto , perché nel tuo discorso io riconosco il MIO linguaggio. I ragazzi siedon o ai banchi e l a cattedra domina lo spazio della classe , come ai tempi dei nostri nonni e dei nonni dei nostri nonni . All’epoca però c’era un’autorità che poi alla fine è stata pesantemente contestata negli anni ’60 e ’70. Ora invece abbiamo magari la mamma che va in discoteca con la figlia, che si veste come lei, i figli che vanno al bar co l papà... N on c’è più la percezione dell’autorità da contestare. I ragazzi mi sembrano carini, sono ragazzi con cui si può parlare bene , m a un po’ anestetizzati. Però siamo noi che li anestetizziamo. E i genitori? Come sono i genitori di oggi? Un po’ è vero quello che si dice: sono più presenti, si interessano di più. Alcuni tendono a dirti quello che devi fare: si sentono insegnanti a scuola e allenatori nelle società sportive; sono un po’ invadenti e non rispettano i ruoli. Però, secondo me, se tu ci parli, poi capiscono che è importante essere vicini ai loro figli, ma c’è modo e modo di essere vicini. Loro reagiscono male quando vedono che ci sono cose che non gli tornano... Ma se poi ci parli, gli spieghi, ci discuti, le cose si rasserenano , in genere. Molto spesso però succede che l’allenatore li allontana, i presidi sono in a vvicinabili, gli insegnanti non gli rispondono o li maltrattano e quindi i genitori magari si ritrovano con un quattro del figlio, non capiscono e se la prendono con l’insegnante c he “ce l’ha con loro figlio”, o con l’allenatore che lo lascia in panchina. Se invece ci parli coi genitori, si crea un dialogo e si sciolgono i nodi. Io non trovo negativo che i genitori siano più interessati alla vita dei figli. Dipende da come lo fanno. Molti genitori guardano i problemi dei figli e pensano: “Madonna mi è capitato un figlio che non studia, un figlio che si droga, un figlio chiuso...” Ma i figli non vengono da Marte: forse i genitori dovrebbero chiedersi se anche loro c’entrano qualcosa con la tristezza di loro figlio, col fatto che non studia, col fatto che ne combina di tutti i colori. Io penso che il modo migliore di agire nei confronti dei ragazzi, sia agire prima di tutto su di noi. Il comportamento del ragazzo parla anche di me: se ca mbio io, cambia anche lui; se gli dico : “Cambia” non cambia nulla. Io questo l’ho sperimentato nella gestione della scuola: se vado in collegio docenti e dico: “Ragazzi, la smettiamo di fare lezione come i nostri nonni?” ovviamente non cambia nulla. Se invece io inizio a tenere la porta della presidenza aperta dalla mattina alla sera , il preside che è sempre disponibile mette per forza in difficoltà gli insegnanti che trattano male gli altri, le segreterie che non rispondono ai genitori. Poi sono andato nelle classi e ho spostato le cattedre dal centro dell’aula e le ho messe a lato della LIM, per togliere agli insegnanti il centro della scena : in questo modo il docente è come se accompagnasse i ragazzi nella scoperta della conoscenza, cioè le cose che ve ngono presentate sulla lavagna. Non è più l’insegnante al centro, come se fosse il centro stess o, il dispensatore della conoscenza: l’insegnante accompagna gli alunni nel perseguimento della conoscenza È un fatto simbolico : Naturalmente ogni tanto vado ne lle aule e vedo che l’insegnante ha rispostato la cattedra al centro, ma comunque un pochino questa cosa fu n ziona, a livello simbolico. Il mio post in cui annunciavo questa intervista ha avuto molti commenti. Però nella stragrande maggioranza dei casi, le persone non volevano porre domande, ma desideravano ardentemente raccontare le loro esperienze coi figli adolescenti. Però qualche domanda c’è stata. La maggior parte delle domande erano del seguente tenore: PER CARIT À DIDDIO QUANDO FINISCE QUESTO PERIODO INFERNALE (segue imprecazione, ò°§*#, segue santo tirato giù di peso dal paradiso, segue altra imprecazione, lacrime, imprecazione, santo, lacrime e così via). Beh! Io dico quaranta – quarantacinque anni. Ci sono andata vicino? Io per esempio penso di non esserne uscita mai. Fingo. E pure male. È difficile. Ci sono ragazzi di 18 anni più maturi dei loro genitori e ci sono eterni bambinoni. Secondo me, per aiutare i ragazzi a superare questa fase, devi dargli una pedata e mandarli a fare esperienze da soli. Noi per esempio , in quarta mandiamo i ragazzi per un mese o per tre mesi in Erasmus da soli: gli insegnanti li accompagnano, ma poi loro rimangono da soli in appartamento e tornano abbastanza trasformati. Perché devono cavarsela da soli , cucinare da soli, spostarsi da soli, arrangiarsi e fare uno stage. Questa roba li aiuta ad uscire dall’adolescenza. Certo , se io li tengo in casa e cucino e stiro per loro fino a trent’anni, dall’adolescenza non ci escono. Quando io studiavo a Firenze av evo come compagna di studi una ragazza danese che mi raccontava che a Copenaghen era normale, una volta compiuti 18 anni, andare a vivere da soli: un ragazzo di Copenaghen , già allora usciva a 18 anni dalla famiglia e andava a prendersi un appartamento con gli amici, anche nella stessa città dei genitori e questo per diventare autonomo. Io sono del sud e lì questa cosa sarebbe fuori dalla grazia di dio. Ma anche a Firenze o a Milano : io voglio vederlo un ragazzo che a 18 anni esce dalla famiglia, NON per andare a studiare fuori, ma semplicemente per diventare autonomo anche nella stessa città dei suoi La famiglia ti dice: scusa, ma che senso ha che vai a spendere soldi? Resti qui che noi cuciniamo, stiriamo, etc... A Copenaghen non la pensavano così. Parlia mone. Altra domanda sul piatto è: come si approccia quella fetida belva satanica del QUINDICENNE in delirio ormonale affinché ci ascolti, o, perlomeno, ci ignori con una certa classe (cioè senza urlare improperi orrendi sbattendo porte)? ( L’intervistato si mette a riflettere molto , ma molto attentamente, n.d.a.). Gli adulti dovrebbero ricordarsi di come erano da ragazzi: in quei momenti lì non ascolti nessuno. Io trovo sbagliato andare nella loro cameretta a chiedere: “Dai, raccontami, cosa ti succede? Pe rché non lo racconti al tuo babbo? Lo sai che il tuo babbo e la tua mamma ti vogliono bene!” Più tu li stressi, meno raccontano. L’unica cosa che bisogna fare secondo me è fargli capire che ci sei, fargli sapere che se hanno bisogno tu ci sei e vedrai che allora ogni tanto arrivano. Oppure si può cercare di colpirli nei momenti di debolezza che a volte hanno anche i ragazzi e cercare di farli parlare in quei momenti lì. Però , secondo me , i ragazzi vanno anche lasciati stare, in santa pace, in modo che imparino a viversi da soli le loro emozioni , senza il babbo che subito gli asciuga la lacrima. Devono ciucciarsi le loro sofferenze, l e loro passioni orm onali, imparare a stare anche da soli. Alcune madri sono terrorizzate all’idea che il loro cucciolo di tre mesi diventi un adolescente traboccante odio. Sembra folle. Forse lo è, ma io le capisco. È capitato anche a me. Certe notti insonni durante l’allattamento lo guardavo e pensavo: “ È così bello, così piccolo, dolce, indifeso, dorme appoggiato al mio pe tto e venera il mio nome. Certo, a volte mi fa girar le balle a sangue, ma cosa conta? È l’amore mio! Sono l’amore suo e un giorno mi odierà! Ma mi deve odiar per forza? Non può evitare di odiarmi? ” Secondo me è normale che in certi momenti ci odino. Perc hé per esempio a volte gli devi dire di no. E in quel momento ti odiano. Però non significa che quei no siano sbagliati Con la nostra scuola collabora un noto psicologo, che ha scritto il libro I sì che a i utano a crescere 1 , in rispo s ta al libro I no che aiutano a crescere 2 . E anche io sono per la politica che è più importante dire di sì, piuttosto che dire di no ai ragazzi. Per ò qualche volta tu devi anche mettere un limite, se no il loro ego trabocca. E quando tu metti quel limite, loro ti odiano. Ma devono anche imparare a ribellarsi quando sentono che quel no è ingiusto. Quando insegnavo diritto , dicevo ai ragazzi: “Ragazzi : ci sono delle regole che vanno rispettate. Voi potete anche non rispettarle, ma poi siete obbligati a prendervi la responsabilità delle conseguenze”. Il ragazzo che non vuole rispettare l’adulto, è libero di farlo. Purché lo faccia assumendosi la respons abilità dei propri comportamenti. Piuttosto che odiare l’adulto, il ragazzo dovrebbe imparare a trasgredire la regola: non puoi uscire dalla porta? Bene! Allora esci dalla finestra, ma ti assumi la responsabilità di essere uscito dalla finestra. Imparare a gestire il conflitto è forse la cosa più importante nel percorso di crescita di un ragazzo: significa imparare a dire che non è d’accordo, imparare a violare una regola, senza passare per forza dall’uccisione del padre e della madre. Cosa ne pe nsa della proposta di dare il voto ai sedicenni? Io sono contrario al voto ai sedicenni, nonostante io sia considerato uno molto dalla parte dei ragazzi. Ma sono contrari pure i miei ragazzi , innanzitutto : alcuni giorni fa , una giornalista di Repubblica ha fatto un’indagine con i ragazzi all’uscita da scuola e ha chiesto: “Cosa ne pensate del voto a sedici anni, vi sentite pronti?” E i ragazzi rispondevano di no e lei: “Ma come, andate a manifestare per l’ambiente, per i dir itti civili e poi non volete votare?” 1 I sì che aiutano a crescere. La relazione affettiva nei processi educativi, Renato De Palma, ETS Editore 2 I no che aiutano a crescere, Asha Phillips, Universale Economica Feltrinelli E i ragazzi rispondevano che su alcuni temi loro sono molto sensibili : temi come l’ambiente, le unioni civili, il rispetto de i diritti degli omosessuali ; queste cose gli interessano e sono preparati. Ma se gli apri un a scheda con su scritto Forza Italia, PD, M5S, loro non hanno idea di che differenza ci sia tra questi partiti. Non sono pronti a votare quella roba lì, non capiscono come funziona il gioco e non so neanche se sono molto interessati a capirlo. Detta così sembra che siano i partiti a non essere pronti ai giovani. Sicuramente. Non si parlano. Se molti adulti oggi vendono un politico in tv e cambiano canale, i ragazzi non ne parliamo proprio. È difficilissimo che oggi i ragazzi si appassionino a un dibattito politico; se facessimo un test ai politici, non so quanti oggi sarebbero in grado di mantenere l’attenzione di un adolescente... Secondo me pochissimi. I politici non parlano la lingua dei ra gazzi, non parlano dei problemi che interessano ai ragazzi. È come se appartenessero a mondi non comunicanti Oggi i ragazzi di 16 anni non sono particolarmente interessati alla politica secondo me e non hanno gli strumenti per votare in modo consapevole. Chi in questo momento propone il voto a sedici anni, secondo me lo fa per giovanilismo, lo fa in modo strumentale per guadagnarsi l a simpati a dei ragazzi, non perché consideri i ragazzi di sedici anni pronti. Con questo n on voglio dire che i sedicenni sian o particolarmente immaturi , però secondo me non sono ancora pronti a mettere la croce sul simbolo di un partito, e questo anche per colpa nostra, eh: della scuola, della famiglia, eccetera. Una volta però non era così: in altri tempi, nelle scuole superiori il dibattito politico era molto acceso. Sì: ci sono stati periodi storici con molta più partecipazione e molto più interesse per la politica. Io da ragazzo frequentavo sezioni di partiti politici, scendevo in piazza , facevo cortei... Oggi i ragazz i mediamente sono più interessati alla musica, allo sport, oppure a singole questioni come appunto l’ambiente. Non alla politica per come la intendevamo ai miei tempi. Secondo me però questo è un male. E questo sì. Non credo sia un bene, certo. Progetti per il futuro? Un libro? Un altro lavoro? Un viaggio su Marte? La rivoluzione? La mia passione è la scuola. Sabato andiamo al festival del Cinema di Roma a presentare un film che abbiamo realizzato sulla scuola 3 Continuerò a giocare a dipingere la scuola, a distruggere la vecchia scuola, a provare a fare un nuovo discorso sull’educazione: fare in modo che quest o piccolo giardino che per me è il Marco Polo cresca e diventi un luogo in cui si prov a a costruire insieme, ragazzi e insegnanti, un discorso sull’educazione, sulla conoscenza e in fondo anche sulla società, perché nel momento in cui creiamo una scuola di italiano per migranti, introduciamo il cinese nell'offerta linguistica, facciamo un film con i ragazzi, dipingiamo sui muri, stiamo provando a raccontare un'idea di società. Quindi il mio progetto per il futuro è quello di continuare a costruire una narra zione sulla scuola e sulla società. The eeeend! (E questo, signore e signori, è il concetto di 'sintetico' secondo Ludovico Arte e Maddalena Molteni 😊 ) 3 La Règle Du Jeu in collaborazione con Fondazione Stensen present a : Marco Polo. Un anno tra i banchi di scuola. Un film documentario d i Duccio Chiarini