Fuori di Salone! Maddalena Molteni, 2014 Cos’è il Fuorisalone? C’era una volta una città amena dal clima temperato, dove la gente era laboriosa e felice e attendeva alle proprie attività quotidiane con quella gioia e quell’operosità che possono albergare solo in un cuore sereno. Però, a noi, di quella città non ce ne frega niente, perché noi viviamo a Milano. Forse non tutti sanno che a Milano, ogni maledetta primavera, si celebra una sorta di sabba satanico che va sotto il nome di Salone del Mobile. Il fulcro di questo sabba è un’infausta manifestazione fieristica ubicata presso l’enorme polo espositivo di Rho Fiera, ove espongono mobilifici e marche d’arredo di tutto il pianeta. Da questo fulcro si sprigiona un potere maligno che fa in modo che milioni di commerciali accorrano da tutto il globo per acquistare prodotti, scambiare contatti, piazzare merce e, al limite, farsi una sana trombata fuorisede. Ora, visto che io personalmente mi guardo bene dal mettere piede a Rho fiera (tranne che per visitare lo stand bavarese della fiera dell’artigianato che cade a dicembre) vi direte… Bon, chettifrega? Ne sei fuori. E invece no! Perché durante quella settimana i marchi che non espongono presso il polo fieristico, espongono in una nebulosa di showroom sparpagliati per la città. E questa nebulosa di eventi sparpagliati viene comunemente definita Fuorisalone. Aggiungiamo che il mio Boss, in occasione di ogni Fuorisalone produce una soffertissima, meravigliosa e generalmente invendibile collezione di lampade & vasi che viene esposta in pompa magna al pianterreno dello studio. Concludiamo dicendo che il Boss è protagonista in giro per la città di una serie di mostre ed eventi che vanno attentamente pianificati, allestiti e seguiti da noi solerti collaboratori di studio. Quindi, potete immaginare. In realtà no, credetemi. Non potete proprio immaginare. Perciò ve lo racconterò io. Il mese precedente al Fuorisalone assume ogni anno i connotati di un gioco al massacro e vengono esplorate nuove vette della tensione, precedentemente ritenute impossibili da raggiungere: ritardo si somma a ritardo, crisi isterica si somma a crisi isterica, tentativo di lanciare i colleghi fuori dalla finestra si somma... Va beh, avete capito. Generalmente la situazione precipita a circa 10 minuti dall’inaugurazione dell’evento di turno: la stampante si blocca senza nessun motivo scientificamente spiegabile, i designer si picchiano tra di loro e poi si coalizzano per picchiare il commerciale, 800 kg di lampade a sospensione in marmo verde di Torlonia e struttura in piombo rifuso si staccano dal soffitto precipitando sul pavimento con frastuono apocalittico (senza fortunatamente uccidere nessuno, anche se, chi lo sa! Potrebbero esserci un paio di clienti giapponesi sepolti lì sotto: lo scopriremo solo a Fuorisalone concluso). E proprio in quel momento - nell’attimo preciso in cui tu stai finalmente prendendo coscienza del fatto che è ora di gettare la spugna e inizi a pensare che scaricare le cassette al mercato ortofrutticolo non sarebbe poi una carriera lavorativa così pessima - il nodo si scioglie e tutto magicamente va perfettamente a posto. Ed è un successo celebrato da tutte le riviste. Successo per il Boss, ovviamente. Mica per me. Per farla breve, la settimana del Fuorisalone è un carosello di party e pessimo alcol gratis (ma a caval donato non si guarda in bocca e noi ce lo berremo uguale). In genere il Fuorisalone comincia male e finisce peggio. Prendiamo a titolo di esempio alcuni estratti del mio diario digitale relativi al Fuorisalone del 2014. Lunedì 7 aprile 2014. Il giorno prima dell’inizio del Fuorisalone Ore 7.45, sveglia. Pimpantissima salto giù dal lettone per farmi una doccia e una sana colazione: domani si inaugura la mostra di lampade & vasi e oggi ci sono un sacco di cose da fare (stampare la cartella stampa, sistemare le didascalie, etc.). Sarò al lavoro prima delle 9.00 Ore 8.45, una ragazza si sente male sulla panca della metro. È di un elegante colorito verde in tinta con la linea 2! Le chiedo se desidera che io chiami un’ambulanza, mi sussurra di sì. Mi precipito al gabbiotto dell’atiemmino e urlo allarmatissima: “La prego, chiami subito un’ambulanza: una ragazza sta male su una panca in direzione Abbiategrasso, faccia in fretta, è verde… La ragazza è verde!” Dietro di me spunta una sciura di una qualche mezza età malportata, che con cipiglio incazzoso apostrofa il mio atiemmino: “Io, invece, volevo segnalarle nella direzione opposta il solito suonatore abusivo di maracas… Guardi: ho fatto anche delle foto con l’iPad” (ma tu pensa: la vecchia stronza tecnologica). Io: “scusi, eh! Ma c’è una che sta morendo su una panca, non potremmo lasciarle un attimo perdere, ’ste maracas di merda?!” LVST (La Vecchia Stronza Tecnologica) mi fulmina contrariata, ma fortunatamente si leva dalle palle borbottando. Ore 9.15, arriva l’ambulanza. La fanciulla è salva Ore 9.30, al bar. Visto che oramai sono in ritardo, ho pensato che tanto vale prendere un caffè. Il problema è quel cannoncino che mi guarda dolcemente dalla vetrinetta: devo concentrarmi e trovare la forza per resistergli. Un cannoncino il lunedì mattina può sembrare una trasgressione innocente, ma dice un’antica profezia riportata sul n. 1 di Interni che la grafica che inizia a lasciarsi andare alle 9.30 del lunedì mattina del Fuorisalone con un cannoncino, subirà suo malgrado un’escalation incontrollabile che la condurrà la domenica notte alle tre a rotolare sull’asfalto del Naviglio Pavese con in mano una bottiglia di rum vuota. Uff, ma che stronzate! Mi dia quel cannoncino per cortesia. Ore 13.00, esco a pranzare con i colleghi, Prenderò una mega insalata salutista. Ore 13.15, al bar. Vabbeh, un club sandwich con birretta non mi ucciderà di sicuro. E poi non potevo mica essere l’unica sfigata del gruppo a non prendere la birretta. Cosa? Voi avete preso tutti l’acqua? Vabbeh! Attenti alla ruggine! Ore 14.00, al lavoro Tempo 4 ore e finisco di impaginare la cartella stampa. Alle 19.30 precise farò il mio ingresso all’evento della rivista “Poltronando” (organizzato dalla mia amica Mara) elegantemente drappeggiata nel mio abito nuovo effetto pelle-sul-salame con scarpa taccata rossa da pornosegretaria anni ‘80 (sembra agghiacciante a raccontarlo, ma vi assicuro che rende). Ore 19.30 precise. Faccio il mio ingresso all’evento della rivista “Poltronando” (organizzato dalla mia amica Mara) elegantemente drappeggiata nel mio abito nuovo effetto pelle-sul-salame con scarpa taccata rossa da pornosegretaria anni Ottanta. Eh eh eh! Cosa vi aspettavate? Guardate che, professionalmente, sono una persona parecchio precisa. È in tutto il resto che perdo il controllo. Ma non stasera: stasera vado a letto presto, che domani inizia il Fuorisalone! Ore 4.00 a.m. Beh, dopotutto, tecnicamente sto andando a letto presto: mattina presto. Martedì, il primo giorno del Fuorisalone Amo il Fuorisalone, ed è solo martedì! L’inaugurazione della mostra di lampade & vasi è stata un successone e il boss ci ha fatto un sacco di complimenti. Inoltre i giornalisti sono impazziti per la meravigliosa installazione dal titolo “Apocalisse di lampade crollate a pavimento con statua iperrealistica di giapponese morto che si intravede guardando con attenzione sotto”: oggi le riviste del settore già la osannavano, interpretandola come una coraggiosa presa di posizione in difesa dei valori della società occidentale pur nella difficoltà del momento storico, tristemente segnato da un crisi devastante e dal tragico proliferare di hipster con il barbone e i baffi a manubrio. (Una presa di posizione! Mioddio! Sarà mica una cosa contagiosa?!). Mercoledì, il secondo giorno del Fuorisalone Il mercoledì del Fuorisalone le graphic designer per bene dedicano la giornata a visitare showroom, mostre, eventi e location di interesse professional - culturale. Mai conosciuta una graphic designer per bene. Mai! Si narra che ce ne fosse una, una volta, dalle parti di Isernia. A me piacciono le gite del mistero, tipo Stonehenge, Lochness, i castelli stregati e quelle cose lì, quindi una volta sono andata a cercare questa graphic designer per bene di Isernia. Non ho trovato manco Isernia. Alle 23.30 svengo ubriaca di stanchezza e spriz su un canapè alla maledetta festa di Herpès, a palazzo Serpelloni Bazzanti Viendallago, tra orride boiserie ricoperte di pelle di ornitorinco albino, tartare di pesce gatto crudo e coppe di champagne stantio. Una ogni venti persone. Tirchi maledetti. Odio il Fuorisalone, ed è solo mercoledì! Giovedì, terzo giorno del Fuorisalone Alle 11.48 di mattina sono alla mia scrivania, puntualissima. Eh, sì! Perché se il giovedì mattina del Fuorisalone sei operativa prima delle 11.00, significa, con buona approssimazione, che la notte precedente non sei andata a letto alle 4.00 ciucca come un alpino dopo aver affrontato il delirio fuorisalonistico per l’intera serata e quindi, con ogni evidenza, sei un sordido individuo che sta gettando fango sull’onorata categoria dei grafici. Venerdì, quarto giorno del Fuorisalone. E venne il giorno e venne la notte, e fu proprio allora, nel momento in cui le persone di 34 anni per bene vanno a letto dopo aver posato un tenero bacio sulla fronte innocente dei loro pargoli, che io trascinai la mia inutile vita all’ingresso della famigerata discoteca Tunnel, anche se non ne avevo punto voglia. Stavo su perché soffiavano quattro venti e non c’avevo proprio ca##i di dimenarmi in una sala buia satura di hipster col barbone e i baffi a manubrio. Anita però, anche se pure lei tiene una certa età (un anno in meno della sottoscritta, per la cronaca), a differenza di me era single (da poco) e aveva una voglia di divertirsi arretrata di proporzioni galattiche, perché il suo ex fidanzato era un loffone pigro che preferiva farsi le canne e andare a fare i giochi di ruolo dei nerd1 piuttosto che portarla a ballare. Maledetto lui! Al ritorno ho guidato io, perché se avesse guidato Michele probabilmente non sarei qui a raccontarlo, dal momento che era fradicio come uno straccio per i piatti. Io invece, poiché sono una persona solida e responsabile, mi sono mantenuta lucida e sobria allo scopo di riportare i miei soci a casa sani e salvi. Purtroppo, tra il dire e il fare c’è di mezzo il fatto che io sto alla guida come gli anziani col cappello e quindi, passi quel pedone che ho quasi tirato sotto, passi quel paio di semafori che ho eluso... Ma alla fine, a 50 metri da casa, in conseguenza di una sporca pessimamente eseguita, la polizia che mi seguiva da un po’ non ha più potuto fare finta di niente e mi ha ingiunto di fermarmi a sirene spiegate. Agente: “Patentelibbretto” Io: “Ecco, agente!” Gli rispondo, porgendogli sollecita l’intera borsa. 1 Per chi non lo sapesse, i giochi di ruolo dei nerd sono quelle cose che ti raduni insieme a una ghenga di disadattati in posti un po’ fantasy tipo radure nel bosco, vecchi castelli o Isernia e simuli le attività che i nerd ritengono che presumibilmente vengano svolte in una dimensione fantasy di ispirazione simil-medioevale. Quindi ci sono i maschi con le armature e le spade e le fanciulle vestite da fate vampire guerriere zoccole con armature costituite da coppette in metallo sui capezzoli e qualche catena, che insomma, come armature forse non sono molto utili (probabilmente in un combattimento con un elfo orco troll stregone magico vero verreb- bero scaraventate in un’altra dimensione in tre/quattro microsecondi), ma servono più che altro per arrapare i nerd. Che poi, vestirsi sexy per arrapare un nerd è un po’ come andare a caccia di farfalle col bazooka. Agente: “Ha bevuto?” Io: “No” (vorrei averlo fatto: almeno avrei una scusa per la mia guida di merda) Agente: “Di dov’è?” Io: “Ehr, ehm... caaa, Cooo... uhm...” Agente: “Pirimpignago2”, mi suggerisce il cadavere ubriaco che ho di fianco, umiliando definitivamente la mia disperata sobrietà. Io: “Ehm, vivo qui, ma ho la residenza a Pirimpignago, un paesino in provincia di Como, vicino a Cantù, dove fanno i mobili, sulle colline della Brianza, vicino a un discreto numero di lagh...” Agente: “Ha bevuto?” Io: “No, non ho bevuto.” Agente: “Scenda” Scendo. Agente: “Se ha bevuto, signorina, le conviene dirmelo subito” e mi punta la torcia nelle pupille, cercando qualche dilatazione sospetta e stupendosi parecchio, a quanto pare, di non trovarcela! Io: “Ehm, no! Il mio fidanzato ha bevuto un pochino3 e quindi ho ritenuto che fosse più prudente guidare io. Ecco! Rassegnato all’evidenza che la mia confusione mentale non fosse dovuta all’uso di droghe e mosso a pietà dal fatto che un’anziana col cappello (sotto le mentite spoglie di una trentenne) sia stata costretta a un tale compito ingrato da un fidanzato presumibilmente ubriaconenullafacenteirresponsabile, il gentile giovane sbirro mi ha lasciata libera senza neppure rifilarmi una multa, ma raccomandandosi sentitamente di non uccidere nessuno nei 50 metri che mi separavano da casa. Ancora mortificata e incapace per DNA di effettuare un parcheggio a esse (discendo da una lunga genia di inabili al parcheggio a esse), sono stata costretta a lasciare il volante al cadavere fradicio di cui sopra, il quale, dopo essersi issato non senza fatica sul sedile del guidatore, ha eseguito con precisione chirurgica in due mosse nette il più perfetto parcheggio a esse che mai sia stato effettuato in tutta la maledetta storia automobilistica della stramaledettissima città di Milano. Signori, se la mortificazione avesse un nome, in quella tragica notte del Fuorisalone 2014, il nome sarebbe stato quello della vostra affezionata anziana col cappello. Sabato, quinto giorno del Fuorisalone 2 Nome di fantasia, per proteggere la privacy del paese che mi diede i natali. 3 Seeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! Mi sono svegliata come se riemergessi dalla capsula di Matrix e solo grazie a una provvidenziale telefonata di mia madre. La sveglia, che avevo solertemente puntato alle 9.45 per avere il tempo di visitare un sacco di mostre, non aveva emesso neppure un flebile gemito, nonostante fossero già le 11.25. Prima che mia madre chiamasse stavo facendo un incubo orribile nel quale tutti erano super cool e andavano a feste fighissime del Fuorisalone a cui non mi invitavano. Poi mi sono resa conto che non era un incubo: era la realtà. Orrore e depressione. Michele è emerso all’improvviso dalla capsula di Matrix accanto alla mia e ha proferito seraficamente: “Oh ma ieri notte, poi, come abbiamo fatto a tornare a casa dal Tunnel?” Domenica, sesto e ultimo giorno del Fuorisalone Domenica mi sono svegliata che il mezzodì era già scoccato da un pezzo. Mi sono vestita sommariamente, mi sono lavata con scarso riguardo alle norme igieniche standard della civiltà occidentale e sono corsa in Triennale, decisissima a passare tutto il pomeriggio lì fino alla chiusura, per concludere in modo culturalmente valido la settimana del Fuorisalone. Dopodiché cena leggera e tutti a letto, per affrontare in modo energico e dignitoso la Vita Dopo il Fuorisalone. Finalmente. (…) Apro un occhio, ne apro un altro. Che ore sono? Perché il cielo è verticale? Il mio smartphone sostiene inopinatamente che siano le 3 di notte Ah no, non è il cielo a essere verticale, sono io che sono orizzontale. Sotto di me percepisco l’asfalto. Mmmmm... Dalla consistenza e dall’odore direi che è l’asfalto del Naviglio Pavese. Dopo un po’ di anni si svenimenti sull’asfalto impari a riconoscerne le diverse tipologie: quello del Naviglio Pavese sa di casa, quello del Naviglio Grande è più duro. Su quello dell’Isola è meglio non svenirci perché gli autoctoni hanno la cattiva abitudine di cagarci il cane e non raccogliere. Stringo in mano qualcosa, la guardo, è una bottiglia vuota. La avvicino agli occhi in preda a un terribile presentimento... Ma... Hurrà! È Campari, non è rum! Ho fottuto la profezia di Interni! Gioisco per circa mezzo secondo, fino a che non mi ricordo che di mani ne ho due e che quella cosa che stringo nella mano che non avevo considerato, è indiscutibilmente una bottiglia vuota di rum. Lunedì 14 aprile 2014, il Fuorisalone è morto, viva il Fuorisalone! Sia lodato il Grande Designer che sta nei Cieli o Chi per Lui. Il Fuorisalone è finito. In ogni città dovrebbe essere consentita solo una certa quantità di hipster col barbone e i baffi a manubrio e in questa settimana Milano era decisamente oltre la soglia critica. La settimana si conclude tradizionalmente con la classifica delle migliori installazioni artistiche. Al secondo posto troviamo la già nota “Apocalisse di lampade crollate a pavimento con statua iperrealistica di giapponese putrefatto che si intravede guardando con attenzione sotto”. Ma la vera sorpresa è la new entry che si è guadagnata il primo posto con un punteggio irraggiungibile: “Donna apparentemente sui 34 anni che rotola sull’asfalto del Naviglio Pavese stringendo in una mano una bottiglia di Campari e nell’altra una bottiglia di rum”. E questo è più o meno tutto quello che resta del Fuorisalone.
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