Collana «I LIBRETTI ROSSI», 6 Il libretto rosso di GESÙ Strappato alla censura ecclesiastica, il «quinto vangelo» di Cristo invoca la giustizia sociale e annuncia la rivoluzione A cura di Fabio Zanello © 2014 Red Star Press La riproduzione, la diffusione, la pubblicazione su diversi formati e l’esecuzione di quest’opera, purché a scopi non commerciali e a condizione che venga indicata la fonte e il contesto originario e che si riproduca la stessa licenza, è liberamente consentita e vivamente incoraggiata. Prima edizione nei «Libretti Rossi»: dicembre 2014 Prima edizione in e-book: gennaio 2014 Design Dario Morgante Red Star Press Società cooperativa Via Tancredi Cartella, 63 – 00159 Roma www.facebook.com/libriredstar redstarpress@email.com | www.redstarpress.it Il libretto rosso di GESÙ Strappato alla censura ecclesiastica, il quinto vangelo di Cristo invoca la giustizia sociale e annuncia la rivoluzione A cura di Fabio Zanello REDSTAR PRESS Questo libro nasce nel quartiere romano di Torpignattara, oggi forse il più multietnico e problematico della capitale. Saluto chi me ne ha esortato la stesura, le persone che ho consultato per l’esegesi dei testi, e Giacinto Calfapietra, che mi ha condotto per le strade di questo quartiere, dove l’Umanità non è una parola. INTRODUZIONE Il Libretto Rosso di Gesù consiste di una raccolta di estratti dei quattro Vangeli canonici, compresi degli Atti e delle Lettere; di quelli apocrifi, compresi degli Atti e delle Lettere; di quelli gnostici e di altri scritti concernenti soprattutto i ritrovamenti di Nag-Hammadi (1945); della narrativa islamica e coranica su Gesù, ove le sue parole e le sue azioni sono riportate perlopiù per trasmissione ( hadith ), come per il profeta Maometto. Questi estratti, provenienti da tali fonti, sono stati ricomposti insieme, a partire da episodi della natività e dell’infanzia di Gesù, come in una sorta di ulteriore vangelo, quasi un «Quinto Vangelo». Il procedimento non è di principio infondato, e questo a partire dalla tesi, maturata nello scorso secolo in ambito filologico neotestamentario, sull’esistenza della cosiddetta «Fonte Q» (dal tedesco Quelle = fonte, da cui Q ). La supposizione è che sia esistita una fonte orale all’origine, appunto la «Fonte Q», da cui Matteo, Marco, Luca e Giovanni avrebbero diversamente attinto. Secondo questa tesi, tale fonte sarebbe stata composta di un elenco di detti, e per questo motivo è anche nota come Vangelo dei Detti o Fonte dei Detti Sinottici La tesi si è rafforzata con la scoperta, in una caverna a Nag Hammadi nel 1945, dei due Vangeli di Tomaso e di Filippo, che presentano diversi riscontri con il racconto evangelico tradizionale. Ciò che li distingue è semmai la forma narrativa, ovvero una minima descrizione dei percorsi e dei luoghi, a fronte di una maggiore attenzione a riportare quasi esclusivamente e in forma diretta la parola di Gesù. Va aggiunto che, a una osservazione attenta della letteratura islamica sulla vita del profeta Gesù, anche questo insieme narrativo si presenta ricco di corrispondenze e similitudini con il corpo neotestamentario, così da corroborare l’ipotesi di una medesima fonte alla base delle narrazioni canoniche, come di quelle extracanoniche. Occorre tuttavia sottolineare come siano gli stessi assertori della «Fonte Q» a postulare che questa fonte, se esistita, debba essere stata orale, rendendo nei fatti l’oggetto del contendere inesistente per definizione. Da cui l’inevitabile corollario di posizioni contrastanti tra gli studiosi del Nuovo Testamento, nel merito di un’ipotesi priva di possibile riscontro dal punto di vista testuale. Stante questa teoria così formulata, ciò che ne consegue è, almeno in linea teorica, la possibilità di ulteriori Vangeli che a quella fonte – per natura non verificabile – avrebbero potuto attingere per il proprio racconto. Nulla esclude infatti, come già accaduto per i rotoli di Nag Hammadi, che nuove e inedite redazioni della vita di Gesù potrebbero venire alla luce, ispirate alla originaria fonte di cui parte della filologia biblica del XX secolo ha supposto l’esistenza. In sostanza, come ognuna delle narrazioni evangeliche fino ad oggi note avrebbe tratto elementi dalla «Fonte Q» finendo per diversificarne il racconto secondo le diverse disposizioni letterarie, ideologiche, culturali, escatologiche e politico-sociali dei rispettivi autori, così anche Il Libretto Rosso di Gesù potrebbe considerarsi un testo che, muovendo da quella ipotetica fonte, la ripropone secondo le inevitabili scelte di una scrittura di seconda mano. Una scrittura che sempre re-interpreta e inevitabilmente sceglie, per la disposizione del suo redattore, ma anche solo per le circostanze fortuite che possono intervenire nell’accesso ad alcune testimonianze a esclusione di altre. Accanto alla tesi della «Fonte Q», un altro supporto alla veridicità di narrazioni della vita di Gesù non riducibili al solo canone neotestamentario è rappresentato dalle cosiddette «armonie evangeliche». A partire dal secondo secolo dopo Cristo, e come supporto all’evangelizzazione dei popoli del vicino Oriente, la letteratura cristiana diede luogo infatti alla produzione di versioni della vita di Gesù concepite come narrazioni unificate dei quattro Vangeli canonici, di cui la più nota è il Diatessaron (dal greco dia tessaron , vale a dire «secondo i quattro») di Taziano il Siro. Le «armonie» seguono da vicino il testo dei Vangeli, ma lo dispongono in una nuova e differente sequenza, il cui risultato è inevitabilmente la creazione di un nuovo racconto, differente da tutti e quattro gli originali. Nuovo racconto unificato e fittizio, ma fino ad un certo punto, se si considera che proprio il Diatessaron di Taziano fu il testo ufficiale del Nuovo Testamento per alcune Chiese di lingua siriaca fino al V secolo. Questi ragionamenti, inerenti la tesi della «Fonte Q» e la letteratura delle «armonie evangeliche», sono solo qui esposti in linea teorica, e non vogliono suffragare filologicamente una narrazione, quella de Il Libretto Rosso di Gesù , che è un’evidente ricomposizione attuale della vicenda del fondatore del cristianesimo. Il loro richiamo vale però a mostrare come una inedita storia di Gesù può considerarsi formalmente valida, al pari di quelle che la storia ci ha consegnato, quando nel solco della tradizione a cui tutte le altre si rifanno, a partire dalla ipotetica «Fonte Q» fino alla vulgata delle «armonie». Più che un discorso di legittimità, vale qui un discorso di opportunità, ovvero il tipo di scelta operato dal redattore sugli avvenimenti da enfatizzare e sul loro assemblaggio, al pari delle omissioni; discrimine che del resto già caratterizza le differenti versioni di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, così come di Tomaso e del restante corpus degli apocrifi. Più marcatamente spirituale Giovanni, esoterico Tomaso, etico e sociale Luca, taumaturgico Marco, morale Matteo, ognuna delle storie più note della vicenda di Gesù ne mostra infatti aspetti diversamente peculiari, secondo le declinazioni dei rispettivi autori. * * * Dal messianismo alle rivolte dei contadini e dei servi della gleba durante il Medioevo, alla contemporanea «teologia della liberazione» per non parlare delle recentissime asserzioni di Papa Francesco, il messaggio di Gesù si è sempre intersecato con rivendicazioni di tipo politico e sociale, a favore di quel Regno che, evocato dal Messia, si è cercato a più riprese di vedere storicamente realizzato come compimento effettivo della sua predicazione. In un articolo dal titolo Gesù Cristo rivoluzionario e socialista , pubblicato su «La Giustizia» del 5 febbraio 1888, Camillo Prampolini, uno dei padri del socialismo italiano, scriveva: «Sì, Gesù fu socialista [...]. Egli proclamò che gli uomini sono tutti uguali; non ammetteva la proprietà privata né la conseguente divisione dei cittadini in padroni e servi, ricchi e poveri, gaudenti e affamati, e predicava invece la comunione dei beni». Da allora, il recupero della figura di Cristo come testimone di giustizia e uguaglianza, come primo vero socialista, ha continuato a essere motivo ricorrente della propaganda della sinistra storica, e a costituire il tema centrale del più celebre degli scritti dello stesso Prampolini, quella Predica del Natale che conobbe una straordinaria diffusione. Nell’opuscolo, pubblicato nel 1899, l’autore ribadiva: «Questo, o lavoratori, questo era il pensiero e questa fu la predicazione di Cristo. Un odio profondo per tutte le ingiustizie, per tutte le iniquità, un desiderio ardente di uguaglianza, di fratellanza, di pace e di benessere fra gli uomini; un bisogno irresistibile di lottare, di combattere per realizzare questo desiderio – ecco l’anima, l’essenza, la parte vera, santa del cristianesimo [...]. Sì, voi sarete con noi, voi lotterete tutti al nostro fianco, perché noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo». Alcune testimonianze ricordano come le immagini raffiguranti il «Cristo dei lavoratori» fossero affisse alle pareti dei circoli socialisti accanto al ritratto di Marx, o offerte come dono di nozze alle spose nei primi casi di matrimoni civili. Immagini che raffiguravano Gesù secondo la tradizionale iconologia religiosa, ma con una didascalia che ne ribaltava il significato spirituale per trasmettere un inequivocabile messaggio politico: «La natura ha stabilito la comunanza dei beni. La usurpazione ha prodotto la proprietà privata». Michail Gorbaciov, presidente di uno Stato che ha fatto dell’ateismo il suo punto di forza, dichiarò forse in modo provocatorio, in occasione della sua visita a Gerusalemme nel 1992, che Gesù era stato in realtà il primo socialista, il primo che si era adoperato per ottenere migliori condizioni di vita per l’umanità. Da questo versante si comprendono perfettamente tutte le parole dello stesso Engels che, nel suo articolo Per la storia del cristianesimo primitivo , elenca gli indubitabili punti di contatto tra comunismo e cristianesimo delle origini: «La storia del cristianesimo primitivo presenta notevoli punti di contatto con quella del movimento operaio moderno. Come questo, il cristianesimo fu all’origine un movimento di oppressi: sorse come religione degli schiavi e dei liberti, dei poveri e dei privi di diritti, dei popoli soggiogati o dispersi da Roma. Entrambi, il cristianesimo come il socialismo operaio, predicano una immanente liberazione dalla servitù e dalla miseria».1 Sotto il tetto del messaggio metafisico, e attraverso la lotta perlopiù violenta operata dalla Chiesa per una stabilizzazione del canone evangelico a misura del potere imperiale prima e delle monarchie poi, è indubbio che la «novella» di Gesù appare contraddistinta, nelle sue parole originarie, da un impegno costante a favore degli emarginati, dei poveri, degli sfruttati, degli oppressi. Questi contenuti, spesso noti in modo generalista ma assai preponderanti a una lettura attenta dei Vangeli, hanno tuttavia conosciuto nei secoli l’ambigua contraffazione di una carità che ha vietato la rivendicazione diretta dei diritti e il riscatto delle categorie sociali più deboli, in nome di un’elargizione dall’alto a garanzia dello status quo delle classi dominanti, almeno fino alla rivoluzione francese. Tale lettura, per così dire reazionaria delle parole di Gesù e operata via via dai portavoce più noti della patristica e della scolastica, cozza in effetti con la gran massa di detti, discorsi e azioni prodotti dal fondatore del cristianesimo, per ciò che concerne l’abuso di potere e ricchezze operato da pochi sui molti. Lo stesso percorso fisico della predicazione di Gesù, a partire dalla città di Nazaret e poi attraverso la Galilea fino a Gerusalemme, assume, a uno sguardo obiettivo, il sapore di un vero percorso rivoluzionario e di lotta contro i detentori del potere: i farisei e gli scribi asserragliati nel Tempio, all’interno del quale il Messia compie uno dei suoi atti di protesta più clamorosi. Il Tempio è il «palazzo» dove, accanto alla speculazione religiosa naturale per una società teocratica del mondo antico, il potere politico sta concentrato. Garante attraverso norme farraginose di un’organizzazione sociale non egualitaria in atto, e spietato contro ogni sovversione che lo possa mettere in pericolo, il luogo risulta senz’altro quello dell’autorità per eccellenza. È questo un aspetto simbolico che, nel suo colore politico, è spesso sottovalutato, quasi che la vicenda di Gesù non possa essere anche quella dell’uomo terreno che con i suoi occhi vede le tragedie dell’oppressione e dell’emarginazione, del sopruso e dell’arroganza, e se ne scandalizza. E va notato che la legge religiosa custodita da farisei e scribi subisce la contestazione di Gesù proprio come strumento di potere, allorché inaridita dell’autentico messaggio di rigenerazione individuale – e inevitabilmente sociale – che il Cristo si sforza di rivelare. Messaggio che emerge fin dagli esordi di Giovanni Battista, suo precursore, che, raggiunti i dodici anni di età, aveva già cominciato ad accusare i dottori della legge e gli scribi di ingannare il popolo. Sono parole, come molte presenti in questo Libretto , ascritte alla tradizione apocrifa dei Vangeli, e perciò escluse dal canone. E anche Giovanni Battista, del resto, finirà per essere ucciso in un vero e proprio delitto di Stato, che una tradizione di comodo vuole però eseguito per il capriccio di una giovinetta. È innegabile che la predicazione di Gesù si concentri, in un crescendo denso di emozioni umane, nella lotta al potere del Tempio, da cui parte l’ordine di ucciderlo, in un contrasto sempre più aspro e dagli ampi risvolti socratici. Ed è altrettanto vero che i suoi discorsi, pur nei risvolti ultramondani cui fanno riferimento, si rivolgono a poveri ed oppressi incarnati nella loro forma fisica, pari ai ricchi costantemente seduti a banchetto, o alle prese con problemi inerenti le loro proprietà. L’avvento del Regno, e il ribaltamento degli «ultimi» nei «primi» che in esso si deve compiere, diventa perciò un messaggio a duplice lettura: e questo perché Gesù non è uno speculatore chiuso nel suo chiostro, ma il portatore di un annuncio che si può intendere rivoluzionario in piena regola, come nelle prime comunità cristiane dove l’eguaglianza dei membri, e la comunione dei beni, diventerà la norma spontanea e inderogabile. Anche qui, la storia della mutazione di queste disposizioni originarie nell’organizzazione gerarchica operata in seguito dalla Chiesa è cosa nota, ma è importante considerare come questa avvenga in parallelo alla stesura del canone neotestamentario, ovvero alla definizione di cosa Gesù abbia veramente detto o fatto, a scapito di ciò che si è stabilito apocrifo o, peggio, eretico. L’esclusione di alcune testimonianze, l’accento dato ad alcuni aspetti piuttosto che ad altri, ha così favorito l’affermazione di una verità che, però, è solo quella che la Chiesa ci ha nel tempo consegnato e imposto. Da sempre, il Gesù fanciullo dei Vangeli apocrifi dell’infanzia, con i suoi atti estremi e provocatori fino al paradosso, è stato oggetto di imbarazzo per la Chiesa, e rimosso tout-court. Affermazioni radicali sul pericolo insito nel denaro per il denaro e nel possesso dei beni in eccedenza, assai presenti nella vulgata islamica di Gesù, sono state giocoforza omesse, escludendone in via pregiudiziale la possibile veridicità. Pure, il ribaltamento intellettuale al centro dei Vangeli gnostici ha da sempre costituito una spina nel fianco per chi ha deciso di stabilire un «sopra» e un «sotto» con cui legittimare un ordine sociale fondato sul potere di un ristretto vertice, su di una larga base spogliata di uguali diritti. Ma, a sorpresa, sono gli stessi Vangeli canonici a testimoniare ampiamente di un Gesù impegnato in un vero e proprio conflitto di classe, a partire dalle umili categorie sociali dei suoi primi discepoli e delle masse di bisognosi cui si rivolge, solo che il Regno evocato si voglia intendere realizzato anche in terra, piuttosto che nei soli confini d’ordine metafisico. I Vangeli di cui la Chiesa ha avocato l’insegnamento sotto il manto della liturgia, straripano in realtà di discorsi ed episodi che in modo unanime condannano l’abuso delle ricchezze a danno di poveri e oppressi. E che finiscono per raccogliere, se quella liturgia viene scostata per un attimo, le testimonianze più dure contro l’arroganza e il dominio egoistico delle élites al potere. Sbagliato sarebbe anche ammantare di un certo «buonismo» la lotta serrata a queste élites che di Gesù testimoniano gli scritti, canonici e apocrifi. Quella che emerge da tutti i testi è la figura di un predicatore che non percuote il nemico, ma gli oppone la propria parola e il proprio volto a una distanza tante volte minore di un capello. È il Gesù che rovescia i banchi dei venditori nel Tempio, che non teme le pietre dei lapidatori, che, invitato ai banchetti dei possidenti, li rampogna faccia a faccia e senza mezzi termini, ben consapevole di farsi detestare e odiare fino alla condanna a morte. È il Gesù che, di fronte all’ordine costituito e agli sgherri da sempre assoldati per garantirlo, benedice e accoglie nel suo seguito malfattori e proscritti, a fronte di un sistema sociale che li emargina in via pregiudiziale. Partendo dall’ipotesi della «Fonte Q», e ripercorse pressoché tutte le pagine delle scritture canoniche e non, l’ipotesi de Il Libretto di Gesù è quindi quella di un testo possibile, proprio perché fedelmente costruito anche sugli elementi esclusi, o artatamente messi in secondo piano, da un potere nei secoli sempre più opprimente e dogmatico, al pari di quello che Gesù si era impegnato a combattere. Non v’è spazio, infatti, nella predicazione del Messia, per proprietà e ricchezze a disposizioni di pochi, e per la loro mancata condivisione con i poveri, i sofferenti e gli oppressi. L’atto d’accusa verso i gruppi ristretti asserragliati nella difesa del proprio status quo è costante, come lo è il ripetuto invito al rispetto e all’amore per il prossimo e il «fratello», con cui si intende l’essere umano e il suo diritto alle più elementari forme di dignità umana e sociale. «Vendete ciò che possedete, e distribuite a chi non ne ha»; «Guardatevi e rimanete estranei da ogni desiderio di possesso, perché, se anche uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni», sono solo alcune delle affermazioni più note che esortano a una profonda riflessione su un uso egoistico delle ricchezze, privo di armonia con il tessuto sociale circostante. E questo fino a una critica radicale del concetto di proprietà privata allorché, di fronte ad un proprietario accorso per impedire ai discepoli di usufruire gratuitamente dei prodotti della «sua» terra, Gesù invoca le schiere di defunti che, nel corso dei secoli, hanno avuto in dote quei terreni. Così a dimostrare, in chiave apocalittica, l’inconsistenza di ogni rivendicazione personalistica di beni che la terra, spontaneamente e da sempre, mette a disposizione di tutti. Malfattori e prostitute, emarginati e umili, peccatori e proscritti – ovvero tutti coloro che non adempiono perfettamente alle norme sociali imposte dai guardiani della Legge – finiscono perciò per diventare il ricettacolo naturale di una predicazione che solo un ragionamento contraffatto può ascrivere a un Regno dei cieli privo della sua contropartita terrena. Se infatti, in una società retta da principi religiosi, non vi è aspetto che esuli dalla volontà divina, allora proprio questa volontà non può non finire per disporre anche di ciò che è terreno, come equazione indifferibile all’interno dello stato teocratico in cui Gesù si trova ad operare. In base a questa equazione, non è allora errato ritenere che al nuovo ordine spirituale invocato da Gesù spetti una consistenza anche politica e sociale qui-e-ora, che è proprio quella, del resto, che i successivi Atti e Lettere dei suoi apostoli testimonieranno a prezzo di persecuzioni, prigionia e sangue. Tale che il Regno «non verrà in modo da mettersi in mostra, così che si possa dire: «Eccolo qui», o «Eccolo là». Perché il Regno è in mezzo a voi». E questo perché per Gesù non è solo importante che «chi è morto riviva», ma anche che «i poveri godano dei beni. Cosicché per ognuno sia il ritorno alla propria condizione primitiva, dove sono l’origine e la sua fonte perpetua di vita». Discorso anche questo, inevitabilmente, relegato fra i testi considerati apocrifi. In quest’ottica, capace di integrare in modo pieno i due aspetti, divino e umano, della predicazione del Cristo, la sua figura assurge allora a quella di un rivoluzionario nel senso pieno del termine, fino a pagare con la sofferenza e la morte il prezzo della propria battaglia. Gesù s’indigna, difende poveri ed emarginati a rischio della propria vita, affronta in prima persona i potenti invocando una rivoluzione che, come tutti i rivolgimenti sociali più autentici, parte innanzitutto da un mutamento della propria coscienza, che da sempre rappresenta, per il potere, forse l’atto di insurrezione più pericoloso. Nessuna giustizia sociale, sembra dire Gesù, può essere prodotta da una coscienza individuale che non si preoccupi di fare i conti con se stessa, e di agire nel mondo in modo giusto ed equo. A poco valgono, in questo senso, sistemi complessi e artefatti di norme che distolgono dalla più elementare delle verità: l’amore per l’altro e per chiunque condivida con noi l’esperienza di questa vita terrena. Da questo punto di vista, fondamentale è la battaglia combattuta da Gesù contro un male dell’anima che spesso è il presupposto più profondo di ogni male sociale, ovvero l’ipocrisia. Ipocriti sono i farisei che calpestano i deboli, ritenendosi assolti per adempiere a un sistema tutto esteriore di norme; ipocriti sono i ricchi che accolgono ai loro banchetti altri ricchi loro pari, nella sicurezza egoistica che ciò che è da essi elargito con apparente munificenza sarà così contraccambiato. In questa battaglia contro la simulazione della virtù e dell’amore per l’altro, sta il seme della protesta evangelica che arriva a colpire nel profondo, perché rade al suolo la maschera più subdola dietro cui ogni potere, fondato sull’ingiustizia, si autoassolve. Vale perciò qui la parola che Gesù, nella Lettera di Barnaba , testo anch’esso annoverato fra gli apocrifi, rivolge ai suoi discepoli, dissuadendoli dal sottoporsi a regimi di penitenza e di ascesi estrema come vestirsi di ruvidi teli, coprirsi di cenere o digiunare, per impegnarsi piuttosto a sciogliere ogni nodo di iniquità, restituire libertà agli oppressi e stracciare ogni patto ingiusto. Perché «questo è il digiuno al Messia più gradito: spezzare il pane agli affamati, coprire gli ignudi, accogliere nella propria casa i senza tetto» e, al cospetto di un povero, non ritenersi in alcun modo superiore a lui. La parola di Gesù, nel momento in cui il suo contenuto escatologico non viene separato dalla pratica terrena, diventa allora un messaggio che si interseca con quello dei grandi rivoluzionari della storia a pieno titolo, che hanno consegnato la loro vita per il riscatto degli sfruttati e degli esclusi. Dalla Repubblica degli Eguali di Babeuf con il suo progetto di eliminazione della proprietà privata e di comunismo dei beni, alle lotte di Gandhi e Nelson Mandela per il pieno rispetto della dignità umana oltre ogni ceto e colore, all’esperienza folgorante di un giovane Che Guevara nei lebbrosari peruviani, la figura di Gesù sembra riassumere tutti questi momenti e tutte queste individualità, con annesso il sacrificio ultimo – in nome della battaglia condotta – della propria vita. E qui l’amputazione delle mani del celebre rivoluzionario sudamericano non manca di ricordare l’oltraggio tutto corporeo riservato sul patibolo all’annunciatore del Regno, di cui resta senz’altro l’imperativo della lotta non violenta e della predicazione della sola parola. Ma è pur vero che il superamento di questo limite rimanda comunque alle scelte individuali di ogni singolo protagonista della Storia, senza che, per questa differente opzione di metodo, i contenuti teorici e le spinte ideali ne siano pregiudicati. L’oggetto del destino ultraterreno dell’anima, per quanto detto sui criteri di scelta del materiale testamentario con cui si è operato, non costituisce argomento del presente Libretto . Ma ciò non significa che all’anima – come complesso psicologico di norme morali, etiche e ideologiche – non sia riservata la parte di protagonista in questi testi. Che una società migliore, egualitaria nel senso del rispetto della dignità di ogni suo membro, parta da una radicale e autentica metamorfosi della coscienza individuale, è in realtà l’atto di sovversione più elevato che Gesù ci consegna. Ed esso rappresenta, indubbiamente, una lezione quanto mai attuale, considerando quante proposte rivoluzionarie, pure realizzate, hanno finito per crollare proprio perché non in grado di assolvere a questo obiettivo capillare e imprescindibile. * * * Nelle pagine che seguono è rispettata, secondo la tradizione evangelica, la divisione delle successive fasi della vita di Gesù: 1) Natività e infanzia; 2) La preparazione del ministero di Gesù; 3) Ministero di Gesù in Galilea; 4) Ministero di Gesù fuori dalla Galilea; 5) Ministero di Gesù a Gerusalemme; 6) Passione e morte di Gesù. Per ciò che concerne il testo, si è cercato di rendere fluide e attualizzare le figure note dei farisei, dei samaritani, degli scribi, dei pubblicani e degli altri personaggi pubblici del tempo. Per questo la loro nomenclatura originale è stata conservata in alcuni casi, mentre in altri si è cercato di renderla nella loro effettiva funzione sociale, o almeno come questa era e può a tutt’oggi essere percepita. E questo col ricorso a espressioni di carattere generale come «autorità», «dottori della legge», «sfruttatori del popolo», eccetera. Comunque, ogni volta che queste figure sono interpretate e attualizzate, la loro dicitura originale è sempre riportata in nota. Lo stesso avviene, in taluni casi, per espressioni come «il Padre», «spiriti demoniaci», «peccatori» secondo le diverse accezioni date dalle circostanze, ma anche qui sempre indicate nella forma originale in nota. 1 Karl Marx, Friedrich Engels, Sulla religione , Savelli, 1969, pp. 417-418 Natività e infanzia di Gesù *[1] Ecco come avvenne la nascita di Gesù: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito. Giuseppe, che era giusto e non voleva ripudiarla pubblicamente, decise di licenziarla in segreto. Mentre però pensava a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi errori».2 *[2] Poi Maria disse: Il cuore mio glorifica e l’anima mia esalta Colui che ha posato l’occhio sulla sua umile serva. D’ora in poi le generazioni mi chiameranno beata, grandi cose ha fatto in me il Padre celeste e beato è il suo nome. Di generazione in generazione la sua umanità si posa su quelli che lo seguono; ha dispiegato la forza del suo braccio, ha disperso i pensieri dei cuori superbi, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha respinto i ricchi a mani vuote. 3 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Ecco, la vergine concepirà un figlio che sarà chiamato Emanuele che significa: «Lo Spirito è tra noi». Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che mai si fosse consumata la loro unione, partorì un figlio che fu chiamato Gesù.4 *[3] Gesù nacque a Betlemme di Giudea, sotto il governo di Erode. Alcuni Magi giunti da oriente a Gerusalemme chiesero: «Dov’è il nuovo re che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». All’udire queste parole il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Convocati i sommi sacerdoti e gli scribi, si informò da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è stato scritto dal profeta». E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda, perché da te uscirà un capo che governerà un popolo. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza il momento in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme. Li esortò: «Andate e informatevi del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io voglio venire ad adorarlo». Udito ciò, essi partirono. Ed ecco che la stella, che avevano seguito dal suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra la casa dove si trovava il bambino. Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia, entrarono e videro il fanciullo con Maria sua madre. Offertogli in dono oro, incenso e mirra, lo adorarono. Poi, avvertiti in sogno di non tornare da Erode, fecero ritorno per un’altra strada al loro paese. Partiti che furono, un angelo apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te la tua famiglia e fuggi in Egitto. E resta lì finché non ti avvertirò, perché Erode è alla ricerca del bambino per ucciderlo». Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre e nella notte fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode.5 *[4] Durante il viaggio, in sosta presso una grotta per riposare e nell’ambascia, la beata Maria scese dal giumento e si sedette, tenendo in grembo Gesù. Allora questi disse: «Non abbiate paura, e non crediate che io sia un fanciullo. Da sempre infatti io sono la perfezione, e tutt’ora lo sono. È perciò certo che ogni fiera selvatica, innanzi a me, diventerà mansueta». Infatti anche i leoni e i ghepardi lo adoravano, e camminavano fianco a lui nel deserto.6 *[5] Mente Maria era seduta fuori la grotta con in braccio il bambino, alcuni la avvicinarono. Dissero: «Che cosa terribile hai fatto, Maria, tu che non sei figlia di un reietto, né tua madre era una prostituta». Lei indicò il fanciullo, e quelli risposero: «Che cosa potremmo sapere da uno che sta ancora nella culla?». Ma Gesù disse: «In verità io sono Figlio del Padre, che mi ha rivelato la legge e mi ha reso profeta. E mi ha prescritto di sostenere i diseredati fintanto che vivo, mi ha reso benevolo e mai prepotente o scellerato. Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morirò e quello in cui tornerò in vita».7 *[6] Lasciata la grotta Maria e Giuseppe continuarono per il deserto, fino a una terra infestata dai ladri. Mentre procedevano nel timore si imbatterono in due uomini a terra, a guardia di una torma di farabutti che dormivano. I due si chiamavano Tito e Damaco. Tito, a vedere i tre, bisbigliò al compagno di lasciarli andare senza svegliare gli altri, e, al suo rifiuto, insistette: «Se non vuoi farlo di tua volontà, fallo almeno per queste mie quaranta dracme in cambio, e questo pegno», e gli consegnò la cintura che aveva al fianco perché non aprisse bocca e non fiatasse. Testimone del gesto, Maria sussurrò: «Il Padre verrà a tuo sostegno con la sua destra, e ti concederà il perdono». Ma Gesù disse: «Di qui a trent’anni, madre, io sarò crocifisso a Gerusalemme, e questi due malfattori saranno in croce accanto a me. Tito sarà alla mia destra, Damaco alla mia sinistra. Venuto quel giorno, Tito sarà in paradiso».8 *[7] Poi un angelo apparve a Giuseppe: «Fai ritorno nella tua terra, perché coloro che minacciavano la vita del bambino sono morti». Tornati dall’Egitto, la famiglia di Gesù si stabilì quindi a Nazaret, in Galilea. Era un giorno di sabato e all’età di quattro anni il bambino Gesù giocava con altri fanciulli presso le acque del fiume Giordano. Seduto presso una sponda Gesù aveva scavato sette laghetti di fango, uniti ciascuno da piccoli canali lungo cui, al suo comando, le acque del fiume scorrevano e rifluivano. Uno dei fanciulli, per invidia, otturò però i canali vanificando l’opera di Gesù. Questi gli disse: «Cosa fai, frutto di ingiustizia e di morte? Ti azzardi a distruggere quello che ho costruito?». E, detto ciò, il bambino crollò a terra morto. I suoi genitori si precipitarono da Maria e Giuseppe gridando: «Vostro figlio ha maledetto il nostro, ed è morto!». Maria e Giuseppe subito corsero da Gesù, circondato da una folla che imprecava insieme ai parenti del morto. Giuseppe disse a Maria: «Vai tu, che io non ho il coraggio. Rimproveralo e domandagli perché istigare contro di noi tanto odio del popolo, e l’ira della gente». Avvicinato Gesù, Maria gli chiese: «Figlio, che colpa ha commesso costui per morire?». Gesù rispose: «È ciò che si è meritato, per aver distrutto quanto da me costruito». Ma Maria insistette: «Ascoltami, figlio, non vedi che tutti stanno per aizzarsi contro di noi?». Ciò detto, e non volendo contrariare sua madre, Gesù percosse col piede destro il sedere del morto, poi esclamò: «Alzati, scellerato. Non meriti ancora infatti di essere accolto nel Regno di mio Padre, per avere minato la mia opera». E quello che era morto all’istante risuscitò, allontanandosi.9 *[8] Accadde però che il giovane figlio di un sacerdote del Tempio, preso in mano un bastone, con impeto distrusse i laghetti scavati da Gesù schizzando fuori l’acqua raccolta. Gesù lo apostrofò: «Figlio dell’ingiustizia, la tua discendenza sia senza vigore, le tue radici senza nutrimento, i tuoi rami privi frutto». E ciò pronunciato, sotto gli occhi di tutti, il ragazzo si accasciò spirando.10 *[9] Alla vista dell’accaduto Giuseppe, impaurito, trasse suo figlio sulla via di casa. Ma un altro bambino passò di corsa urtando apposta la spalla di Gesù, per farlo cadere e ferirlo, o almeno deriderlo. Gesù lo apostrofò: «Che tu non possa andartene sano da questa strada!», e il ragazzo esalò all’istante. Dinanzi stavano i suoi genitori che, alla vista dell’accaduto, si disperarono: «Ma da dove viene questo bambino? Ogni parola che dice si compie, e spesso prima ancora che la pronunci». Poi, rivolti a Giuseppe, gli intimarono: «Porta via questo Gesù dai nostri paraggi, poiché è evidente che non può abitare nella nostra comunità. O, almeno, istruiscilo a benedire e a non maledire». Giuseppe, afferrato il figlio, iniziò a redarguirlo, ma il timore lo colse di fronte a una folla minacciosa che imprecava. Allora Gesù, preso per l’orecchio il fanciullo morto, ne sollevò lentamente il corpo parlandogli come un padre a un figlio, finché quello si riebbe e tornò in vita. E grande fu lo stupore tra i presenti.11 *[10] Infine Gesù trasse del fango da quei laghetti scavati e modellò dodici passeri. Era di sabato e uno dei sacerdoti presenti alla scena ammonì suo padre: «Non vedi che il tuo fanciullo compie ciò che è non è permesso dalla legge in questo giorno? Con del fango ha dato forma a dodici passeri». Giuseppe sgridò Gesù: «Perché fai queste cose di sabato, giorno in cui dalla nostra legge non è permesso alcun lavoro?». Udito ciò, con uno schiocco di mani Gesù disse: «Volate!», e i passeri si alzarono in volo. Poi, davanti ai presenti, ordinò a quegli uccelli: «Ora col vostro volo solcate la terra, e andate», e quelli si sparsero all’orizzonte. Grande fu, innanzi a tali avvenimenti, la meraviglia. E presto fu noto a tutte le autorità come Gesù, il figlio di Giuseppe, avesse compiuto simili prodigi innanzi al popolo.12 *[11] Ora Giuseppe, vedendo che l’età del ragazzo maturava, decise che non dovesse restare privo di istruzione e lo condusse da un maestro. Questi disse: «Lo istruirò innanzitutto alle lettere dell’alfabeto greco, e poi ebraico». Malgrado si sforzasse di insegnare con grazia, non riceveva però mai risposta. Poi un giorno Gesù esclamò: «Se veramente sei il maestro che dici, chiedi a me il significato di queste lettere, e vediamo se non sarò piuttosto io a istruirti su di esse». Offeso, il maestro gli tirò un pugno in testa, Gesù per il dolore del colpo subito lo esecrò, e quello piombò a terra esanime. A casa, appreso l’accaduto, Giuseppe ne restò turbato. Ordinò quindi alla madre: «Non lasciarlo oltrepassare la soglia di questa casa, perché tutti quelli che gli recano offesa, muoiono».13 *[12] Un altro maestro, Zachia, intervenne allora presso Giuseppe: «Affidami il ragazzo perché lo porti al più anziano maestro Levi, che lo istruirà e saprà farsi obbedire». E così entrambi lo accompagnarono da lui. Entrato a scuola, Gesù, che aveva l’età di otto anni, se ne stava in silenzio, mentre il maestro gli chiedeva di pronunciare le lettere dell’alfabeto iniziando dalla prima. Poiché Gesù continuava a tacere, il vecchio, con rabbia, prese una verga e lo colpì. Gesù gli disse: «Perché mi percuoti? Considera in verità che io, che vengo colpito, posso istruire colui che mi colpisce più di quanto ne possa essere istruito». Il vecchio insegnante, sconcertato, gridò ai presenti: «Ha diritto forse di vivere su questa terra costui? Non meriterebbe piuttosto di essere appeso a una grande croce? In quale ventre egli mai prese dimora? Da quale madre è stato generato? E da che mammelle venne nutrito?». Gesù, con espressione serena, sorrise e rivolto a tutti i presenti disse: «Chi è privo di frutto, fruttifichi; chi è senza vista, veda; gli zoppi camminino diritti, chi è morto riviva e i poveri godano dei beni. Cosicché per ognuno sia il ritorno alla propria condizione primitiva, dove sono l’origine e la sua fonte perpetua di vita».14 *[13] Giuseppe e Maria si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa della Pasqua, e anche quell’anno, il dodicesimo d’età di Gesù, vi andarono come di consueto. Trascorsi i giorni della festa avevano ripreso la via del ritorno, senza accorgersi però che Gesù non era con loro. Dopo una giornata di viaggio ne chiesero notizia a parenti e conoscenti. Non trovandolo, tornarono a Gerusalemme. Per tre giorni lo cercarono, e lo scorsero infine nel Tempio seduto tra i dottori, impegnato con loro in conversazione. E quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Anche Maria e Giuseppe si meravigliarono, ma poi sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco che tuo padre e io, angosciati, non avevamo più tue notizie». Rispose Gesù: «E perché mi cercavate angosciati? Non sapete che io sono qui per occuparmi dell’avvento del Regno?». Essi non compresero le sue parole, però il ragazzo li seguì e con loro fece ritorno a Nazaret dove rimase obbediente, mentre sua madre serbava tutte queste cose in cuor suo. Ma intanto Gesù cresceva in sapienza, in statura e grazia dinanzi agli uomini.15 *[14] Una volta, durante la semina, Gesù andò con suo padre a seminare il grano. Mentre Giuseppe portava il suo sacco, Gesù prese in mano tanto grano quanto può contenere la mano di un ragazzo, e lo lasciò cadere. Giunta la stagione della mietitura, Giuseppe andò a raccogliere la messe. Gesù, che era con lui, raccolse le spighe del grano che aveva sparso, chiamò quindi i poveri di tutto il villaggio, le vedove, gli orfani e distribuì loro il suo raccolto.16 *[15] Un giorno, uscito da Gerico, si diresse lungo la strada che da quella città porta al fiume Giordano. Lungo il cammino, presso la riva, c’era una grotta nella quale stava una leonessa con i suoi cuccioli, per cui nessuno si sentiva sicuro in quel luogo. Gesù, giunto sul posto, entrò nella grotta e i leoni gli si fecero incontro e si prostrarono. Quelli più giovani balzavano ai suoi piedi, lo accarezzavano e gli facevano le feste, i più vecchi se ne stavano a testa bassa e lo salutavano con la coda. Intanto alcuni tra quelli che fuori si erano radunati dissero: «Certo che, se questo ragazzo non avesse da espiare peccati gravi o i suoi genitori, non si sarebbe offerto come vittima a quei leoni». Mentre l’apprensione cresceva in tutti, Gesù uscì dalla caverna preceduto dai leoni più vecchi, e i cuccioli in fe