Perché la Giustizia è uno strumento di potere delle classi dominanti ? Un’analisi di Francesco Ferrarese Tempo di lettura: 3 minuti Che cos’è la giustizia? Domanda complessa. La giustizia è sicuramente poliedrica, ma, per quanto riguarda la nostra breve indagine, la definiremo come “accordo collettivo che permette il vivere comune.” L’uomo è un “animale sociale” ( politikòn ): ha bisogno di stare con gli altri per realizzare pienamente se stesso e, per poter vivere con gli altri, è necessario accordarsi, trovare una base comune. La giustizia è un prodotto che nasce dal modo in cui gli uomini scelgono di organizzare la loro convivenza e, in quanto prodotto, è costruita e non scoperta: non è insita nella natura delle cose e non è iscritta nel mondo. Il diritto è un fenomeno sociale, frutto di un negoziato asimmetrico. Asimmetrico, perché, nel negoziare la cosiddetta “morale”, a spuntarla sono sempre i più potenti. (Attenzione al fatto che, con “potente”, non si intende solo il ricco: con il termine si fa riferimento a colui che è stato “baciato dalla vita”; quindi si include nel ragionamento anche e soprattutto la persona sagace, la persona sana, la persona esteticamente attraente e la persona talentuosa.) La questione è autoevidente ed, allo stesso tempo, disarmante, in quanto, se la giustizia si fonda sui rapporti di forza, allora non è un principio, ma una strategia di controllo travestita sotto il nome di equità. La legge non serve ad equilibrare il potere, ma a dargli una forma socialmente accettabile. Di fronte alle precedenti affermazioni, il classico bigotto cercherebbe di smentire la tesi parlando di coscienza; di conseguenza, andiamo ad affrontare l’argomento in anticipo. La controargomentazione sarebbe del tipo: “Tutti hanno una coscienza, una voce interiore che parla da dentro esprimendo valori comuni, universali; ne consegue che la giustizia è trascendente, è presente in qualche modo dentro ognuno di noi, come fosse un numero di serie condiviso. Non è un prodotto, e, se non è un prodotto, viene giù tutto.” Siamo d’accordo che, se un tale numero di serie condiviso fosse stato all’origine della coscienza, esso sarebbe stato inserito fin dall’inizio. Perché inserirlo dopo? Non avrebbe senso. Con questo presupposto, diventa difficile, per chi cerca di smentire la tesi, rispondere al perché la coscienza sia evoluta nel tempo. Qualche millennio fa gli uomini si uccidevano tra di loro senza farsi tante domande: il diritto alla vita non era un diritto considerato degno di nota, eppure oggi la coscienza di qualsiasi persona raziocinante aborrisce anche solo il pensiero di privare della vita un altro essere umano. Lo stesso ragionamento è applicabile al concetto di uguaglianza tra uomo e donna. Le donne sono state oppresse e reificate per secoli, cosa che oggi, per fortuna, causa sdegno e indignazione. Ci sarebbero decine di esempi e altre tesi interessanti per smentire l’argomentazione sulla coscienza; una tra queste, la proporzionalità inversa presente tra libertà ed uguaglianza che non permette di fatto di realizzare un concetto di giustizia unitario universale. La“verità accessibile”, in questo momento, è una sola: i valori morali, da cui deriva la coscienza, non sono immutabili ed eterni. Questi, in quanto prodotti, cambiano a seconda dei periodi storici e degli interessi delle classi dominanti. L’uomo coincide con il tempo: di conseguenza, questo elabora i concetti a partire dalla sua temporalità, da ciò che avviene intorno a lui e da ciò che è già avvenuto. Ciò che è giusto e ciò che non lo è, è strettamente collegato al periodo storico, e la storia, intesa come linea unitaria, è in verità solo la storia di ciò che ha vinto: essa si costituisce a prezzo dell’esclusione, prima nella pratica e poi nella memoria, di una moltitudine di possibilità. In questo senso, la giustizia è l’utile del più forte. La giustizia non può prescindere dalla storia, perché l’uomo è anche irrazionale. Non è possibile cambiare il fatto che il giusto sia l’utile del più forte, perché — ammettendo che ci si riesca — anche cambiando la storia si giunge a un nuovo criterio di giustizia, che è espressione della capacità che gli individui hanno avuto di imporsi. Conclusione: La legge non è uguale per tutti, non per effetto di favoritismi di applicazione, ma perché è viziata nella sua genesi: nasce dal potere e, come ogni creatura del potere, serve innanzitutto a conservarlo.