La mia festa scudetto Testo di Emanuele de santis Il ventidue maggio duemilaventidue la storia è stata scritta, e già con quest’affermazione potrei dare legna d’ardere al braciere dei più critici. Tralasciando l’esistenza d’una soggettività innegabile, ve lo concedo, sì, potete non considerare questo diciannovesimo scudetto milanista come uno dei più importanti della storia del calcio, potete, ma sicuramente non cancellerete la storia che questo tricolore ha inciso nella mia mente, nei miei ricordi, nel mio vivere ... s iamo campioni d’Italia! La mia giornata è cominciata con calma, a Bologna, tra un cafferino ed una maratona che ha invaso la città, il puro clima scudetto è iniziato più tardi, a mezzogiorno, appena son salito sul pullman. Ho posato le mie natiche sullo scomodo sedile dell’itabus che mi stava per portare a Milano, il mio posto era il numero sette, quello di Samu Castillejo, quello delle Champions. Pensando di viaggiar senza compagno alla sinistra, senza pensarci posiziono il mio zaino nel posto vuoto di fianco a me, ma in men che non si dica... eccolo, il compagno d’avventura. Si avvicinava a passo svelto, con la sua maglia nerazzurra, appena ho capito che si stava per sedere vicino a me, ho mantenuto il sangue freddo, come mai prima di quel momento in vita mia. In nome degli insegnamenti dell’europeo e di tutti i campionati fantacalcistici ai quali ho partecipato dal duemilaquindici a questa parte, ho fatto quello che ogni umil’ uomo avrebbe dovuto fare: ho alzato la mia mano in direzione della sua, ho respirato, profondamente, c’è stata quindi la stretta, e quello, quello era il mio momento. “Complimenti per questo campionato vinto” . S i, l’ho detto, dovevo dirlo, ne andava della mia pacifica esistenza. Il mio viaggio è continuato tranquillamente, c’eran tanti interisti quanti milanisti, abbiam scherzato, creando un’ atmosfera davvero piacevole. No, non ci prendiamo a badilate al solo incrociar degli sguardi, lo so che i cori fanno evincere il contrario. Da Milano Lampugnano, fermata ultima del bus, ho preso l’oramai storica “M 1 ”, la metro rossa, e tra un “Cadorna” ed un “Cairoli” ero arrivato al Duomo. Niente, non ce l’ho fatta neanche quella special domenica, m’ero nu ovamente emozionato. Il cuore mi aveva nuovamente fatto saltare un battito alla vista di quell’ imponente struttura, era come se dall’alto dei cieli, quella cattedrale mi salutasse, ed io non potevo far altro che ammirarla. Neanche il tempo di metabolizzare quello stupore, neanche il tempo d’abbassar lo sguardo ed aguzzare le orecchie, che i miei ventricoli cardiaci stavano nuovamente facendo gli straordinari, e fortunatamente son figlio della mia generazione quindi faccio tutto in nero e non gli pago neanche un euro in più. Tralasciando le mere burle, avevo davanti uno spettacolo più che immenso, i tifosi del mio Milan. Mancavano più di due ore e mezzo alla partita, ma eran già lì, a far cori, a saltare insieme, mi sono sentito a casa. Spero che non sia servito questo mio specificare per capire che nel giro di dieci secondi mi ero già unito all’intonare. Poco dopo mi son dovuto dirigere a far una mini spesa pre partita con il mio amico Augusto, il santo uomo che mi avrebbe poi ospitato nel suo collegio a vedere la partita, non si può mica vedere la gara che conclude la stagione senza una birra fresca! Post supermercato si erano fatte le quattro e venti, un’ora e quaranta alla partita, in quel momento le scelte erano solamente due: scelta “a”, mi dirigevo in collegio con il mio amico e con santa calma aspettavo l’inizio del sacro incontro, magari nel mentre potevo anche ripassare un po’ di inglese, il venerdì successivo avrei avuto l’idoneità d’affrontare all’università; scelta “b”, di fret ta e furia tornavo dalla mia famiglia al duomo e mi regalavo altri minuti d’impazienti e passionevoli cori. Nuovamente, spero di non aver insinuato dubbi. E la mia gola già arrancava, ed io, coro dopo coro, ero sempre più raggiante, sempre più straripante di gioia, felice, ecco, proprio felice! Va bene l’euforia, va bene la gioia dell’intrepida attesa, va bene tutto, ma adesso silenzio, silenzio ho detto! Erano le sei, le maledette diciotto, a Reggio Emilia stava per iniziare Sassuolo Milan. Passan minuti c he sembrano decenni d’un multiverso dove gli anni hanno quarantatré mesi, i rossoneri macinano occasioni, nei primi dieci la porta dei nostri avversari al Mapei Stadium sembrava sotto stallo alla messicana ma con Cassano a condurre le trattative . Una birra, l’errore di Saelemakers, un cicchetto di Zabov , silenzio, tensione... Oliver Giroud, aveva segnato lui, l’uomo del momento giusto, il nove più decisivo dall’era di Pippo Inzaghi a questa parte. In quel momento ho sentito quel peso dentro di me che salutava, faceva le valigie e andava via, “ce l’abbiamo quasi fatta”, ho pensato. Al trentesimo quell’uomo esultava con la linguaccia, ed io, straripante di gioia, sistemavo caricatori ed alcolici vari nello zaino, era tempo di tornare dove tutto era cominciato, era tempo di riabbracciare il calore del Duomo. Giusto in tempo d’esultar ancora per l’eurogoal di Kessie ch’ero in piazza ad intonare cori su cori, dapprima seduto sui wc mobili, poi in piedi direttamente sulla statua di Vittorio Emanuele ll a cavallo, e li beh, le immagini parlano da sole. Devo ammetterlo, salire su quest’ultime due attrazioni turistiche non è stato molto facile, ma fortunatamente a tendere una mano da sopra c’eran altri fratelli, altri milanisti, che mi hanno aiutato a goder dei panorami. Da lì in alto vedevo il mondo d’altre prospettive, tutti quei tifosi festanti mi donavano speranza come fa un’oasi ad un disperso nel deserto, avrò quell’immagine negli occhi per tutta la vita, per ricordarmi cos’è la felicità. E tra un accennare al mestiere della madre del nostro turco compagno perduto, un leggendario allenatore di calcio che andava a fuoco, una strana gobba che cresceva ai non saltanti, un’ottava che s’abbassava all’invito di spostamento ad un vicino cugino* ed altri mille, duemila cori, erano arrivati i minuti di recupero, e neanche fossimo i protagonisti di un lungo viaggio in macchina con dei bambini a bordo, ecco che la lettera “o” veniva ripetuta, con trepida gioia... novantatreesimo, l’urlo poteva scoppiare, a centocinquanta precisi chilometri di distanza, in quel di Reggio Emilia, Doveri aveva fischiato la fine del nostro campionato, sancendo la nostra più assoluta, sudata e meritata vittoria. La giornata continuò poi come meglio non poteva. Post luuuuuungo bighellonaggio in centro, e non serve descriverne ancora, potete esplicitarlo dalle foto, ci siamo diretti a Casa Milan, dovevamo accogliere i ragazzi che tornavano in bus! Siam partiti, a piedi, per le undici e mezza, siamo arrivati cinquanta minuti più tardi, nel mentre il lato poetico è stato ugualmente presente. Scooter guidati ad una mano per far spazio alla bandiera milanista nell’altra, macchine che intonavano storiche melodie con l’ausilio dei clacson, fu bello anche perdersi nel city life per quanto ero euforico. Facemmo tutto il viaggio in compagnia di una coppia ch’andava nella nostra stessa direzione, a festeggiare anch’essi, condividere quei momenti con loro fu piacevole. Il successivamente si descrive da solo , “guarda mamma, avevo davanti Ibrah imovic!” Emanuele De Santis, la mia festa scudetto. La mia festa scudetto si conclude qui, almeno dal punto di vista dell’impegnato scritto. Io, Emanuele De Santis, vi ringrazio per aver scelto di dedicare del tempo a me e al mio Milan. Di seguito vi lascio il link all’archivio delle foto e dei video, e perché no, vi lascio anche qualche goliardica descrizione di altri divertenti accaduti. https://drive.google.com/drive/folders/1Kla22BXX6IjClWLzMT1 Vvy1mVsuU72a9?usp=sharing Ho evitato il taglio dei video nel modo più assoluto, dato che perdevano di qualità al farlo, ho eliminato solamente lo stretto necessario(quindi perdonato un movimento di telecamera brusco nell’ultimo secondo di qualche filmato). Dato che sono decisamente negato nell’uso di Microsoft Word, anche se la mia “ECDL” dice il contrario, di seguito vi metterò solamente il numero della foto o del video al quale mi riferisco, tal e elemento bisognerà ritrovarselo nell’archivio. Scusate, non sono ancora famoso, ancora non posso incaricare altri di farmi un sito perché non ci capisco un cazzo. //////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////// 002: non giudicate il casino che ho a casa. 004: primi scorci di milanismo sul bell’itabus. 011: si raccomanda il pensare alla parola “interista” durante la visione della suddetta immagine. 027: fermiamoci un momento ad apprezzare le “lore” sul retro delle birre, che fighe. 030: qui eravamo sui wc mobili, bello. 033: si, da quando ho imparato come aprire le birre devo flexarlo in ogni dove. 071: non avevo, nella maniera più assoluta, idea del perché stessero esultando tutti, ma nel dubbio ho esultato. 072: ok, nella “ 071 ” aveva appena segnato Ibra, abbiamo anche fatto il coro apposta, sfortunatamente glielo hanno annullato, lo abbiam scoperto tipo dieci minuti dopo. 077: lo so, lo so, il buon Beppe Sala mi sa che non centrava nulla con il mancato montaggio del maxischermo, ma sinceramente, cazzo me ne frega, nel dubbio lo offendiamo perché è interista. 100: da qui in poi il mio occhio sarà gonfio causa cenere piombatagli all’interno 108: si, DECISAMENTE meglio Tonali di Suso. 127: alcool ed occhiali, rigorosamente, storti. 135: questa è divertentissima. Sono andato verso di loro, abbracciandoli poi, ci siam fatti una foto, in tutto ciò pensavano che fossi interista, appena hanno scoperto che non l’ero ci sono rimasti malissimo, ancora rido. 136: i cetrioli sono come Calhanoglu, fanno cacare. 137: dopo quei cinque panini avevo ancora fame. 178: caffettino rigenerante pre-corsa verso Casa Milan. 199: non l’ho detta con così tanta cattiveria, sembra eh, ma me se ne stava solamente andando via la voce, di conseguenza era rauca. 213: anche se rimango da solo nei cori, non si molla un cazzo. 247: onesto, non so chi fossero. 250: ho trovato una sciarpa, che bellina. 251: da qui in poi me ne torno a piedi verso Lampugnano, erano le quattro meno qualcosa, avevo il bus alle sei di mattina. 254: dio benedica chi ha deciso di mettere il 12oz aperto 24/7 alla stazione, mi salva la vita, quello ad esempio era un fagottino caldo appena sfornato. 255: sono tornato a Bologna per le nove di mattina, la prima cosa che ho fatto è stata ovviamente dirigermi verso l’edicola. 257: io, stanchissimo, prima di andare a dormire per le dieci di mattina. Bonus: ma che belli i miei occhiali storti. Ed ora, prima di concludere, voglio ringraziare il mister, Pioli ha fatto un miracolo calcistico. Siamo partiti, dopo sontuose perdite in effettivi, con una rosa da quinta, sesta posizione, a gennaio avevamo quasi il cinquanta percento della rosa infortunata, non è stato fatto un necessario mercato di riparazione, ma niente, niente è riuscito a fermarlo. E ’ arrivato davanti ad un ’ Inter rinata, al temibile Napoli di Spalletti, alla Juventus di Allegri, alle squadre di Roma con Sarri e Mourinho a comandar, e non son nomi da poco. Pioli ha fatto qualcosa di impensabile, ha creato uno dei gruppi più uniti che io abbia mai visto, calcisticamente parlando. *e se il “e tra un accennare al mestiere della madre del nostro turco compagno perduto” diciamo che si riconosce, forse gli altri li devo spiegare. “Un leggendario allenatore di calcio che andava a fuoco” si riferisce al mio coro preferito, “Pioli is on fire”; “ una strana gobba che cresceva ai non saltanti” si riferisce al “chi non salta è un gobbo juventino”, “un’ottava che s’abbassava all’invito di spostamento ad un vicino cugino” è invece il parallelismo con l’ultimo “interista vaffanculo” del medesimo coro, dove la “u” è accentuata e cambia di tono.