GIANLUCA BRASCHI PRELIMINARI A UN’EDIZIONE DIGITALE DEL “DIPLOMATICO RIMINESE” Una critica, raramente espressa in termini espliciti, ma implicitamente sottintesa ogni volta che si parla di archivi e di archivistica, è che la frequentazione e lo studio della documentazione (antica senz’altro, ma anche moderna) interessino, comunque, un ambito molto ristretto e fortemente specializzato di utenti o che, per lo meno, costituiscano un interesse di nicchia e presuppongano, in ogni caso, tutta una serie di competenze specialistiche. Ciò è, a prima vista, abbastanza indubbio e diventa sempre più marcatamente evidente a mano a mano che si tenti di recuperare o di accedere a documenti più lontani da noi nel tempo: è una lontananza, la loro, in primo luogo cronologica, ma che si traduce fin troppo facilmente in una lontananza concettuale, comunicativa e culturale. E a questo punto, credo, che si deve inserire il lavoro dell’archivista, che nella sua più pura essenza è quello di rimuovere gli ostacoli obiettivi all’accesso e alla fruizione della documentazione da parte dell’utente medio. Non si aspira certo a rimuovere gli ostacoli della lontananza concettuale o culturale: questi sono compiti dell’utente o dello studioso, ma si pensa senz’altro che valorizzare (e non solo custodire) la documentazione che è sopravvissuta alle intemperie della storia significa mettere gli utenti nella condizione di potere veramente accedere al contenuto di un documento e non solo materialmente al documento stesso. Su quel contenuto, poi, potrà lavorare come più ritiene opportuno o convincente, ma, intanto, almeno di questo contenuto potrà farsi un’idea abbastanza corretta. È qui che, mutuando un termine dalla filologia, intendo introdurre il concetto di “edizione di un fondo archivistico” e intendo proporre come caso di studio e pure come provocazione l’idea di una “edizione non convenzionale” di un fondo, ovvero di un’edizione non cartacea, ma digitale, multimediale, ma che sia, altresì e nel contempo, una “copia creativa”, un’interpretazione così come il lavoro del filologo storicamente non si conclude nel compito dell’edizione, ma attraverso l’edizione critica arriva a comprendere, oltre a tutto l’apparato di note e di segni esplicativi, anche il vero e proprio commento al testo, se non addirittura una sua interpretazione, gli indici, un’introduzione a mo’ di saggio, un inquadramento storico e via dicendo. Là dove però, tipicamente, la filologia si occupa dell’edizione di un singolo testo letterario, un’altra disciplina tradizionale, la diplomatica, si occupa espressamente dell’edizione di documenti storici (e non letterari), studiando le forme che storicamente la documentazione ha assunto nel tempo. Ora, per esemplificare come potrebbe essere un’edizione di questo genere applicata a un intero fondo archivistico (in questo caso a una collezione), si cercherà di proporre un caso di studio. Si tenterà di descrivere come si pensa di condurre l’edizione digitale del Diplomatico riminese, di cui si sta studiando, per ora solo a livello teorico, una possibile! pubblicazione su supporto non cartaceo ma digitale, presso l’Archivio Stato di Rimini. È un progetto molto ambizioso, forse troppo ambizioso che per comodità di descrizione si può dividere in almeno cinque fasi, da notare come ogni fase successiva presupponga un livello di seni maggiore soggettività da parte dell’editore. Dei una fase all’altra il intervento è sempre più appariscente e, di conseguenza, criticabile. E questo che ogni buona edizione o pubblicazione cerca sempre di esplicitare fin dall’inizio quali sono i criteri e i metodi adottati. Una volta espliciti, essi potranno essere accettati o criticati dall’utente, costituì la base per un’edizione successiva migliorata o, addirittura, rifiutare in toto Il fondo Diplomatico riminese Il fondo che è tradizionalmente denominato “Diplomatico riminese”, depositato presso l’Archivio di Stato di Rimini, consta di 5.316 pergamene che vanno, come estremi cronologici, dal 1015 fino al 1839 (21 del- l’XI sec., 149 del XII, 858 del XIII, 1924 del XIV, 1085 del XV, 472 del XVI, 368 del XVII, 276 del XVIII, 11 del XIX). Si tratta, dunque, di una collezione di documenti pergamenacei messa insieme presumibilmente nell’Ottocento al tempo della soppressione degli Ordini religiosi. Sono atti di varia natura e di diversa provenienza: pergamene di monasteri di Rimini e luoghi vicini, tra cui moltissime relative all’importante monastero di San Giuliano (per questa parte la raccolta completa il fondo delle corporazioni religiose soppresse); diplomi imperiali, bolle e brevi di diversi papi a favore di monasteri riminesi o comunque relativi a Rimini; convenzioni ed atti di carattere politico relativi soprattutto a Rimini, ma anche ad altri luoghi; e, infine, atti notarili, contratti, enfiteusi, liti, sentenze, donazioni e altro. Insomma, una tipica miscellanea in cui sono confluiti atti e documenti di diversa origine secondo un procedimento abbastanza comune in quel periodo, ma i cui caratteri risultano antitetici a quelli dell’archivistica moderna, uno dei cui dogmi è il cosiddetto “principio di provenienza” secondo cui i documenti vanno ordinati rispettando la loro provenienza, ossia la struttura e l’organizzazione dell’ente o dell’istituto amministrativo che li ha prodotti. Non è un caso, invece, che, proprio secondo un’usanza che si affermò per breve tempo agli inizi dell’Ottocento, tipicamente in relazione al periodo delle grandi soppressioni delle congregazioni religiose, il fondo Diplomatico riminese fosse stato depositato e probabilmente raccolto presso una biblioteca e non presso un archivio: è stato versato, infatti, all’Archivio di Stato di Rimini provenendo dalla Biblioteca Gambalunghiana. L’aspetto della collezione è quello della raccolta miscellanea messa insieme da un erudito al fine di avvalorare o servire da supporto alla propria opera di storico. Come ausilio alla consultazione sono infatti conservati i regesti compilati da Luigi Tonini (1807-1874), bibliotecario della Gambalunghiana in quegli anni e uno dei più documentati storici di Rimini: la sua monumentale Storia civile e sacra riminese, alla cui stesura attese per tutta la vita e i cui ultimi due volumi uscirono postumi, costituisce un punto di partenza insostituibile per chiunque voglia ancora oggi occuparsi di storia riminese. Il fondo si presenta come un ottimo candidato al tipo di pubblicazione che si ha in mente per diversi motivi: in primo luogo, il suo indubbio interesse storico, ancorché da avvalorare e certificare con una scansione più accurata; in secondo luogo, si presenta come una serie omogenea in quanto a formato (pergamene), ma del tutto eterogenea in quanto a contenuto o provenienza. Non si nasconde la segreta speranza che questo tipo di edizione e ricerca sul fondo possa fornirci elementi utili alla sua ricostituzione, ovvero a una sua ricostruzione storico-documentaria; potremmo essere in grado di capire quali siano le varie parti del fondo che provengono da diverse fonti documentarie e reperire interessanti informazioni sulla storia stessa del fondo. Una delle attività fondamentali dell’archivistica consiste, infatti, appunto nel ricostruire la storia e la struttura di un fondo per saggiarne la validità come fonte documentaria e anche per permetterne una significativa consultazione e un ragionato utilizzo. Prima fase: la riproduzione Nella prima fase del progetto, che potremmo definire della riproduzione, ci interessa produrre una copia di tutto il fondo pergamena per pergamena, secondo criteri da definire in relazione allo spazio su disco disponibile, alla comodità d’uso e consultazione e alla disponibilità di «... mezzo adatto alla consultazione, su supporti di tipo magnetico. I tipici strumenti da utilizzare in questa fase sono lo scanner per acquisire documenti trasformandoli da un formato analogico a uno digitale, un elaboratore elettronico e un masterizzatore, se vogliamo salvare la copia utilizzando un CD (o uno strumento analogo, se vogliamo usare un DV oppure un altro equivalente strumento di salvataggio (dischi magnetoottici, nastri digitali, DAT, etc.). La prima idea che può venire a chi comincia ad usare i mezzi d riproduzione digitale è quella del facsimile, discendente diretto d cosiddette copie di sicurezza (fotografie, microfilm), senz’altro utilissime, comunque, in teoria d’obbligo quando si ha a che fare con documenti come quelli del Diplomatico riminese di un certo pregio sia per il supporto (pergamena) sia per il valore storico del contenuto. L’idea successiva è quella di sostituire nell’utilizzo pratico, specie da parte di utenti non specializzati, la copia all’originale. Se, cioè, invece di sottoporre all’usura un materiale raro di pregio, si danno in consultazione le sue copie digitali, è verosimile che la sopravvivenza del documento originale si allunghi nel tempo. Anche questa è “valorizzazione della documentazione storica”: uno dei compiti che rientrano fra quelli istituzionali dell’archivista. Ora, i vantaggi di una copia digitale sono immediatamente evidenti. In primo luogo, occupa molto meno spazio dell’originale (o di una copia cartacea o fotografica o anche microfilmica). Un solo CD può contenere un centinaio di immagini, una copia su DAT o un DVD potrebbero contenere, in teoria, tutto l’archivio. E chiaro che molto dipende dalla qualità dell’immagine, dalla risoluzione adottata, dalla profondità di colore: in poche parole dalla fedeltà all’originale che intende perseguire. Nel momento in cui si riproduce ovvero si sostituisce in un documento il suo supporto materiale con un altro e, nel caso di copie digitali, un supporto fisico con uno immateriale, ‘logico’, la prima tentazione che viene è quella di ritoccare l’originale, in un certo senso di manipolare l’immagine. E famoso il caso della riproduzione dell’archivio della Compagnia delle Indie di Siviglia: lì un programma scritto ad hoc permette all’operatore d’intervenire sulla copia e di ritoccarla, eliminando tutte quelle parti (macchie, deformazioni dell’originale, strappi, graffi, tratti di scrittura sovrapposti e/o successivi, cattivi restauri, etc.) non solo non necessarie, ma addirittura di impedimento a una buona lettura dell’originale. In un certo senso, avremo una copia ‘migliore’, nel senso di più leggibile, dell’originale. Ovviamente, non bisogna mai dimenticare che siamo di fronte a una copia e, qualora il determinato scopo di una ricerca sia quello di adire direttamente l’originale, magari per dimostrare proprio che la trascrizione era sbagliata o per descrivere direttamente il documento o per scrivere la storia dei supporti materiali della documentazione di quel determinato periodo storico, questa non potrà sostituirsi ad esso. Esistono, tuttavia, alcuni formati di salvataggio di documenti di immagini che potrebbero rispondere a diverse esigenze come Photo CD della Kodak o PictureCD. Un file di questo genere permette in realtà di salvare ogni documento in cinque formati diversi per risoluzione e dimensioni. A seconda, quindi, dell’interesse dell’utente gli si potrà presentare una copia più o meno dettagliata del documento richiesto. Seconda fase: la trascrizione La seconda fase che abbiamo in mente implica un certo passo in avanti in termini di soggettività e di intervento dell’editore e/o dell’archivista: inizia là dove non mi basta più vedere una fotografia, per quanto intelligente e smaliziata possa essere, del documento, ma ci si vuole avvicinare di più al contenuto del documento stesso: quando, in termini linguistici, si vuole passare dal significante al significato. Entriamo nel campo di una disciplina della storia di vetusta tradizione: la diplomatica. La parte interessante del progetto è che è possibile rispettare alla lettera i princìpi e gli strumenti della diplomatica stessa. Se, infatti, si adotta un sistema di trascrizione basato su un ‘linguaggio a marcatori’, possiamo etichettare ogni singola porzione del testo trascritto con etichette che ci dicano che la parte che stiamo trascrivendo è, per esempio, l’intestazione del documento, la sottoscrizione, la datazione, ma possiamo anche entrare in dettaglio etichettando come ‘riga’ ogni singola riga del documento o segnalando una parola chiave, un nome proprio di persona o di luogo. Sembrano cose di poco interesse, ma, avvalendoci degli strumenti informatici, l’etichettatura, quanto più dettagliata sarà, tanto più ci permette di recuperare ogni singolo elemento del testo. Potremo in séguito ricerche dettagliate su ogni nome proprio di luogo o di persona citato testo o fare ricerche per parole chiave. Saremo di fronte, insomma, a trascrizione semantica e non puramente lineare del testo. Il testo che si otterà sarà un testo che ci parlerà della sua stessa struttura e potrà essere interrogato nei modi più diversi e personalizzati da parte dell’utente. Il tipo di linguaggio proposto per questo tipo di trascrizione è 1’XML (Extended Markup Language). Questo linguaggio a marcatori prese diversi vantaggi. In primo luogo, essendo particolarmente semplice flessibile, ci permetterà di definire e descrivere facilmente tutti i ma tori di cui abbiamo bisogno. Ci permette altresì di uniformarci agli standard internazionali, se ci sono, in modo che il nostro lavoro risulti uniforme a quello che si sta compiendo in tutte le altri parti del mondo. In secondo luogo, è assolutamente compatibile con l’HTML e gli altri strumenti usati nel WWW, cosa che ci permetterà facilmente di pubblicare in linea il risultato delle nostre trascrizioni, rendendole consultabili a chiunque abbia accesso a Internet. In terzo luogo, è facilmente trasformabile in ogni altri formato. Se, quindi, un utente vorrà una copia della trascrizione in formato leggibile con un normale processore di testi (Word, WordPro, WordPerfect, etc.), questa gli potrà essere fornita. Ultimo punto, ma non meno importante, l’XML permette facilmente di costruire a partire dalle nostre trascrizioni una base di dati testuale, un database, che ci permetterà di recuperare di volta in volta l’informazione di cui abbiamo bisogno e di fare ricerche su tutto il testo (full text) partendo da qualunque parola ci interessi. Sono possibili ovviamente anche applicazioni più spettacolari dell’l’XML: combinando la trascrizione con le immagini che abbiamo scandito in precedenza, possiamo associare ad alcune porzioni o zone dell’immagine la parte del testo corrispondente in modo che chi consulta il documento, cliccando su una determinata parte dell’immagine, possa avere immediatamente in linea la trascrizione del testo originale che sta guardando. Terza fase: il regesto e/o la traduzione Uno degli strumenti tipici della diplomatica in sede di edizione di un documento storico è il cosiddetto ‘regesto’. Il regesto è una sorta di riassunto del documento che ne riporta, secondo convenzioni abbastanza fisse, i principali elementi: datazione, produttore della documentazione, persone coinvolte, nonché un breve riassunto del contenuto. Come detto, il fondo Diplomatico riminese risulta in buona parte regestato e classificato dal Tonini e, quindi, un buon punto di partenza sarebbe già avvalersi di questi regesti per comporre una prima regestazione integrale, magari arricchendola con notazioni o regesti parziali fatti da altri studiosi. Va da sé che, se abbiamo trascritto correttamente il testo, molti dati per la sua regestazione (datazione, produttori, indici di persone e luoghi) possono essere prodotti automaticamente. Un’altra operazione che potrebbe essere è quella della traduzione in un’altra lingua del testo originario. Di norma la lingua di questo tipo di documentazione è il latino. Ovviamente, l’utente medio di una sala di documentazione di un Archivio di Stato ha almeno una conoscenza superficiale del latino ‘documentario’ che, per altro, è abbastanza semplice. Tuttavia, è bene pensare anche ad utilizzatori meno esperti, soprattutto se si pensa anche a un’utilizzazione scolastica del lavoro svolto. Una traduzione, specie di questo genere di testi, è sempre anche un’interpretazione e può dare origine a un commento. Un’operazione del genere sul testo può, quindi, essere interessante a che e soprattutto perché implica uno studio sul testo stesso, una ricerca e, come tale, può essere aggiunta al testo, pur rimanendo distinta. Ovviamente, anche se si tratta di testi dal linguaggio formulare e abbastanza standardizzato, una componente soggettiva è introdotta dal traduttore. Nulla vieta, però, di aggiungere altre introduzioni, varianti, traduzioni in altre lingue che non siano l’italiano. Quarta fase: l’indicizzazione Una fase importante dell’edizione è quella che potremmo chiamare ‘indicizzazione’. Si tratta di creare un indice di tutte le cose notevoli, come si diceva una volta, dei luoghi e dei nomi. Anche questa, se i documenti sono stati correttamente trascritti in XML, può risultare un’operazione in larga parte automatica. La soggettività dell’editore entra in gioco nella scelta delle parole chiave da evidenziare nel testo, ma è evidente un testo può essere indicizzato più volte, quando sia stato acquisito i criteri che abbiamo esposto. Niente ci impedisce di ripassare tutto il testo alla ricerca di nuove parole chiave, se non si è soddisfatti. Il fatto che al di sotto della struttura lineare che siamo an costruendo stia un database ci permette, comunque, di aggiunger in seguito i componenti che ci sembreranno più interessanti e utili alla c stillazione. Potremmo, per esempio, aggiungere a ogni passo indicizzato un collegamento alla bibliografia disponibile su quel passo o alle edizioni già disponibili del documento o a commenti pubblicati alti Potremmo anche definirci un database degli utenti e vedere chi ha consultato il documento e perché: ossia, in relazione a quel tipo di ricerca, potremmo prendere nota di suggerimenti, proposte di varianti o commenti fatti dagli utenti in sede di consultazione e successivamente registrarle e accettarle come lezione originale. La nostra edizione diventerebbe, perciò, un’edizione collettiva, dinamica, aperta alle proposte, ai suggerimenti e ai commenti degli utenti. Pare logico che una parte importante del significato di un documento sia costituita dalle interpretazioni che i suoi utilizzatori ne hanno dato nel corso del tempo. Quinta fase: la pubblicazione La fase finale e, forse, la più interessante, o almeno aderente agli obiettivi iniziali, è quella della pubblicazione o ‘messa in linea’ del prodotto della nostra edizione. E chiaro che, una volta che ho completato la trascrizione in XML del contenuto dell’archivio, posso già crearmi le mie pagine su un server e mettere a disposizione degli utenti che hanno accesso a Internet-, ma, ancora meglio, posso mettere in linea il database che sta sotto alla mia operazione e renderlo consultabile in rete anche in remoto. Questa è una domanda che viene spesso posta agli archivisti: se i loro documenti possano essere consultati in rete prima di esserlo fisicamente. È una domanda molto interessante, a cui gli archivisti cercano sempre di più di dare una risposta adeguata, anche se, per farlo in modo significativo, bisognerebbe avere determinato uno standard descrittivo unico e accettato ovunque. Ora, molto lavoro si è fatto in questo senso con la definizione dello standard ISAD(G). È chiaro che, come abbiamo fatto per i regesti, dobbiamo associare la descrizione archivistica corretta ad ogni documento, i dati sulla sua collocazione fisica, nonché la descrizione del fondo sul suo complesso. A questo punto avremo prodotto un’edizione completa del fondo e, per di più, consultabile in rete. È chiaro che questo tipo di edizione è molto di più di un’edizione tradizionale: è un metadocumento che ci parla di come è fatto il documento, intendendo per documento il fondo archivistico nel suo complesso; ma, del resto, anche nell’archivistica tradizionale siamo abituati a lavorare con inventari, repertori, indici che altro non sono se non documenti che parlano di altri documenti.