1 Caro Avv. Patruno, ho letto le due lettere. Anche se in modo sintetico e non del tutto esaustivo, stante la complessità del tema trattato, Le invio le mie personali osservazioni in merito alla nota questione. Dopo aver - casualmente - trovato on line questa intervista a Mons. Bux risalente al mese di febbraio 2023: https://www.ilpensierocattolico.it/new/wp-content/uploads/2023/11/DON-BUX.pdf occorre, però, premettere alle osservazioni sulle due lettere qualche considerazione su ciò che lo stesso Mons. Bux afferma nell'intervista rilasciata. Passim , citando Mons. Bux : " Il munus e il ministerium, per quanto sembrino due termini latini diversi, sono sinonimi, e si traducono entrambi con “ufficio” o “compito”. Si possono anche declinare in modo da attribuire al primo, un contenuto per dir così teorico, e al secondo, pratico ". Ora, munus e ministerium non "sembrano due termini latini diversi" ma sono due termini latini diversi, dunque non sono sinonimi in senso tecnico (poi vedremo che - nel linguaggio parlato, non quello tecnico - possono anche essere considerati sinonimi, laddove si consideri, tuttavia, una sola accezione per il termine munus ). 1. MUNUS Munus ha la duplice accezione di "carica, ufficio" (in questa accezione, nel linguaggio comune/parlato, non tecnico, lo si associa a ministerium ), e di "dono". Qui interessa, per il nostro discorso, l'accezione di "dono" per il termine munus , vale a dire il "dono che si accetta, che si riceve" con senso di reciprocità e sacra gratitudine [è il munus , il dono accettato dal papa appena eletto, tecnicamente citato nel canone 331, v. sotto]. Il legame tra le due accezioni è stato approfondito da Émile Benveniste in un'opera (assai nota tra gli specialisti), qui in edizione inglese (originale pubblicato nel 1969 in 2 voll.): Dictionary of indo-european concepts and society , HAU Books, Chicago, 2016 (prefazione di Giorgio Agamben - non è un caso ): https://ia802506.us.archive.org/1/items/dictionary-of-indo-european-concepts-and- society/Dictionary-of-Indo-European-Concepts-and-Society-by-Emile-Benveniste.pdf L'autore afferma che la radice etimologica indoeuropea di munus è *mei- che significa "reciprocità di scambio", "dono". 2 Benveniste si chiede (p. 69 e segg.): "Ma come associare l’idea di ‘carica, ufficio’ espressa da munus con quella di (‘dono’, prima ancora di) ‘scambio’ indicata dalla radice? Festo ci mette sulla giusta strada definendo munus come ‘ donum quod officii causa datur ’ . Si designano in effetti con munus , nei doveri del magistrato, gli spettacoli e i giochi. La nozione di ‘scambio’ vi è implicita. Nominando qualcuno magistrato, gli si offrono vantaggi e onore. Questo lo obbliga a sua volta a controprestazioni, sotto forma di spese, in particolare per gli spettacoli, che giustificano così questa ‘carica ufficiale’ come ‘scambio’. Si capisce meglio allora l’accostamento gratus et munis (Plauto, Mercator 105) e il senso arcaico di im-munis come ‘ingrato’, cioè ‘chi non rende il beneficio ricevuto’. Se munus è un ‘dono che obbliga a uno scambio ’, im-munis è ‘colui che non tiene fede a quest’obbligo di restituire’. Questo è confermato in celtico dall’irlandese moin (main) ‘oggetti preziosi’, dag-móini ‘i doni, i benefici’. Di conseguenza, com-munis non significa ‘chi condivide le cariche’, ma propriamente ‘chi ha in comune dei munia ’. Ora, quando questo sistema di compensazione gioca all’interno di una stessa cerchia determina una comunità , un insieme di uomini uniti da questo legame di reciprocità". Il sostantivo munus , e non anche il sostantivo ministerium , ricorre nel Codice di Diritto Canonico (si utilizza la versione latina, quella italiana essendo una traduzione dal latino, lingua ufficiale della Chiesa cattolica e soprattutto dei documenti pontifici): https://www.vatican.va/latin/latin_codex.html nel Liber II, Pars II, Sectio I, Caput I, Art. 1 (De Romano Pontifice), segnatamente nel canone 331: "Ecclesiae Romanae Episcopus, in quo permanet munus a Domino singulariter Petro..."; nel canone 332, § 2: "Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet,..."; nel canone 333, § 1: "Romanus Pontifex, vi sui muneris ,..."; nel canone 333, § 2: "Romanus Pontifex, in munere supremi Ecclesia Pastoris explendo,..."; canone 334 : "In eius munere exercendo, Romano Pontifici praesto sunt Episcopi,...". https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/latin/documents/cic_liberII_la.html Più estesamente, per chiarire che il termine munus non va confuso con "carica, ufficio" perché - originariamente - significa "dono che si accetta" (v. sopra), riproduciamo in latino e in italiano (dove munus diventa "ufficio", ma non è questa l'accezione d'interesse che occorre attribuire nel contesto del Codice, tranne che per il canone 334 ), i seguenti canoni: Canone 331 Ecclesiae Romanae Episcopus, in quo permanet munus a Domino singulariter Petro, primo Apostolorum, concessum et successoribus eius transmittendum, Collegii Episcoporum est caput, Vicarius Christi atque universae Ecclesiae his in terris Pastor; qui ideo vi muneris sui suprema, plena, immediata et universali in Ecclesia gaudet ordinaria potestate, quam semper libere exercere valet. Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli perciò, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente. 3 [nota: dove è chiaro che munus è il dono (che il papa accetta con l'elezione) concesso dal Signore singolarmente a Pietro e che deve essere trasmesso ai suoi successori (tradizione apostolica = ciò che viene trasmesso, dal verbo latino tradere); ed è altresì chiaro che il papa in forza del munus , cioè del dono concesso dal Signore, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa : in breve, il munus è l'Autorità che pro-viene, emana, viene concessa da Dio, dal Signore, al papa ]. Canone 332 — § 1 Plenam et supremam in Ecclesia potestatem Romanus Pontifex obtinet legitima electione ab ipso acceptata una cum episcopali consecratione. Quare, eandem potestatem obtinet a momento acceptationis electus ad summum pontificatum, qui episcopali charactere insignitus est. Quod si charactere episcopali electus careat, statim ordinetur Episcopus. Il Romano Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo. [nota: il dono del Signore, il munus , lo si ottiene con l'elezione legittima che il papa deve accettare e con il quale, parimenti, ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa dal momento dell'accettazione, indipendentemente dal suo esercizio (ministerium), cioè dall'esercizio del munus perché il munus (dono del Signore) esercitato nella pratica diventa ministerium ]. Canone 334 In eius munere exercendo , Romano Pontifici praesto sunt Episcopi, qui eidem cooperatricem operam navare valent variis rationibus, inter quas est synodus Episcoporum. Auxilio praetera ei sunt Patres Cardinales, necnon aliae personae itemque varia secundum temporum necessitates instituta; quae personae omnes et instituta, nomine et auctoritate ipsius, munus sibi commissum explent in bonum omnium Ecclesiarum, iuxta normas iure definitas. Nell'esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l'incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto. [nota: in questo canone ricorre, invece, l'accezione di munus come "ufficio, carica, incarico" - ed è questo utilizzo, in questo preciso canone, che ha generato confusione nel linguaggio comune/parlato portando all'identificazione di munus con ministerium . Il testo latino è chiaro: "In eius munere exercendo" cioè "Nell'esercizio del suo ufficio", quindi ministerium in senso tecnico; e poi: "munus sibi commissum explent ", cioè "adempiono l'incarico loro affidato" - qui, per la prima volta (in questo Articolo 1), si rende munus con "incarico" e non con "ufficio" (come per l'altra ricorrenza dello stesso canone) - ciò che certifica che si tratta di ministerium , inteso appunto come "ufficio, incarico", vale a dire di munus esercitato nella pratica]. Fonti: 4 https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/latin/documents/cic_liberII_la.html https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/ita/documents/cic_libroII_331- 335_it.html#CAPITOLO_I Dunque, in conclusione, il munus è il dono che il Signore, Dio, concede a colui che viene eletto papa, dono che deve essere accettato al momento dell'elezione. E' - in altri termini - la Grazia dello Spirito Santo che scende sull'eletto al Soglio di Pietro. Benveniste afferma, inoltre (v. sopra), che "munus è un ‘dono che obbliga a uno scambio ’, im- munis è ‘colui che non tiene fede a quest’obbligo di restituire". La radice * mei - è, inoltre, presente nel verbo latino meo (da * mei-o ) ‘passo da una parte all’altra’, da cui me-atus ‘passaggio (nelle due direzioni)’, com-meatus ‘azione di trasferimento da un luogo a un altro’ (it. com-miato ). Più spesso appare allargata da vari determinativi radicali, con relative specializzazioni semantiche, come è avvenuto nel verbo migro (formato presumibilmente su un aggettivo scomparso con grado radicale zero * mi-g-ro- ) e in muto (da * moi-t-o , con determinativo in dentale -t(h) - di larga attestazione). L’idea di reciprocità riaffiora con evidenza nell’aggettivo mutuus e nel composto, strutturalmente affine a quello in esame, com-mutare . I riscontri in altre lingue indoeuropee sono numerosi e semanticamente puntuali: greco moîtos ‘ringraziamento, ricompensa’; sanscrito mit-ah (avverbio) ‘in alternanza’ con; antico slavo mit-ê (avverbio) ‘in alternanza’; ittita mut-ai - ‘cambiare, trasformarsi’; gotico maid-jan (da * moit -) ‘cambiare’, poi ‘falsificare’, in-maidjan ‘scambiare, barattare’ (Feist 340; Lehmann 240-241); lettone miet-uôt ‘scambiare’, mit-êt ‘cambiare’; gotico maith-ms ‘dono’; antico islandese meid-mar ‘gioiello’; antico slavo misti ‘compensazione’, anche come ‘vendetta’. E il valore fondamentale che sembra aver accompagnato la voce com-munis già dalla sua formazione e poi costantemente lungo tutta la sua corsa attraverso la storia pare quello di ‘reciprocità’, dunque quello di ‘diffusione incrociata’, di ‘partecipazione in accoglienza e di ritorno’ Se si vuole riscoprire il senso genuino del verbo co-municare è dunque necessario ritornare all’osmosi bidirezionale. Comunica soltanto chi riceve e partecipa, chi è capace di scambiare il dono ( munus ) accolto con senso di sacra gratitudine. Perché la radice indoeuropea * mei - denota ‘reciprocità di scambio’, cioè "passaggio nelle due direzioni opposte". Qual è, allora, la direzione opposta, lo scambio cui obbliga chi ha ricevuto il munus ? Semplicemente, è l'esercizio del munus , vale a dire ciò che denominiamo ministerium Geometricamente, per così dire, potremmo individuare due dimensioni: una verticale, la discesa dall'Alto, dal Signore, da Dio, del dono del munus ( munus significando "dono"), dono che deve essere restituito nella seconda dimensione, quella orizzontale, attraverso il suo esercizio pratico nei riguardi di tutti gli uomini, dell'umanità (senso orizzontale), solo così il munus si trasforma in ministerium (carica, ufficio, nel senso di servizio, servire : minister è il servo) Laddove, beninteso, per una qualsivoglia ragione, non sia dia, manchi la dimensione orizzontale, il ministerium non può essere esercitato orizzontalmente, permanendo, tuttavia, la dimensione verticale che cessa solo quando si rinuncia al dono, al munus Si tratta, a ben vedere, dei due bracci della Croce, uno verticale e l'altro orizzontale. René Guénon, uno dei massimi "esoteristi" del Novecento (ma era molto altro, anche in senso assai pratico - rinvio al libro di Blondet sugli "Adelphi"), scrisse un libro assai interessante: "Il simbolismo della croce", dal quale cito: 5 "... la croce è uno di quei simboli che, in forme diverse, si trovano quasi ovunque fin dalle epoche più remote ; essa è dunque ben lungi dall'essere esclusiva del cristianesimo, come taluni possono pensare. Il cristianesimo stesso, in ogni caso, almeno nel suo aspetto esteriore più conosciuto, sembra avere alquanto perso di vista il carattere simbolico della croce, per limitarsi a considerarla soltanto come segno tangibile di un avvenimento storico; in realtà, questi due modi di vedere non si escludono affatto, anzi il secondo non è, in certo qual modo, che una conseguenza del primo; ma ciò è talmente estraneo alla mentalità della maggior parte dei nostri contemporanei che, per evitare malintesi, è utile parlarne più diffusamente" [...] " Il senso verticale rappresenta la gerarchia – anch'essa a maggior ragione, indefinita – degli stati multipli, ognuno dei quali, considerato nella sua integralità, rappresenta un insieme di possibilità corrispondente a uno dei tanti « mondi » o gradi che sono compresi nella sintesi totale dell'« Uomo Universale ». In questa rappresentazione della croce, l'espansione orizzontale corrisponde dunque all'indefinità di modalità possibili in un determinato stato d'essere considerato integralmente, mentre la sovrapposizione verticale corrisponde alla serie indefinita degli stati dell'essere totale ". Fonte: https://dn790007.ca.archive.org/0/items/ilsimbolismodellacroce/Il%20Simbolismo%20della%20Cr oce.pdf Non sembri questo accostamento con altre tradizioni - Guénon cita il Corano, i testi sacri indù e quelli taoisti - inopportuno e - come dire - del tutto fuori luogo. Ciò che qui vorrei esprimere è che simbolicamente il munus /dono - concesso dall'Alto dal Signore, da Dio - rappresenta la dimensione verticale della croce, è la discesa dello Spirito Santo, della Grazia necessaria affinché quel munus /dono possa validamente esercitarsi in senso orizzontale, espandersi in senso orizzontale, trasformandosi in ministerium , cioè primariamente "servizio". Del resto, Benveniste prosegue affermando: "Ritornando (ora) ai termini della famiglia etimologica rappresentata in latino da mu-nus, im-munis, com-munis , noteremo in indoiranico un derivato che ha un’importanza considerevole, e una formazione singolare. Si tratta di una personificazione divina, del dio iranico Mi-tra , formato da * mei - nella forma ridotta (cioè * mi -, grado vocalico zero di * mei- /*moi -), con il suffisso - tra -, che serve generalmente per nomi neutrali di strumenti (o per nomi maschili di agenti). In vedico, mi-trá - è di due generi, maschile ( Mi-trá-s ) come nome di dio, neutro ( mi-trá-m ) nel senso di ‘amicizia, contratto’ (dunque di ‘scambio’ di diritti e doveri, o di ‘reciprocità di obblighi’). Meillet in un celebre articolo ( Journal Asiatique , 1907) ha definito Mitra come una forza sociale divinizzata, come il contratto personificato. Ma ‘l’amicizia’, ‘il contratto’ possono precisarsi nel contesto in cui noi li usiamo: si tratta non dell’amicizia sentimentale, ma del ‘contratto’ in quanto riposa su uno scambio". P.S.: Come lei stesso ha avuto modo di segnalarmi al telefono e per mail, nel 1979 compare un saggio di Joseph Ratzinger nella rivista "Renaissance Traditionnelle", dal titolo Problèmes théologiques de la musique religieuse , in questo numero: https://rt.fmtl.fr/num%C3%A9ros#h.s6l0ugcgn4eq numero nel quale né la teologia né la musica vengono trattati dagli altri autori, tutti discettando di "cose massoniche" in senso lato. 6 Sulla rivista - come è noto - scrissero e scrivono anche "guènoniani" di stretta osservanza, per così dire. Rivista che ha un solo scopo: "susciter et publier des études, apporter des documents qui fassent mieux comprendre et mieux aimer la tradition maçonnique dans sa double dimension historique et spirituelle" - come qui si riporta: https://rt.fmtl.fr/accueil Che significa? Che Ratzinger aveva aderito alla massoneria, nello specifico a qualche loggia francese? Lo escludo nel modo più categorico. 4 anni più tardi, nel 1983, sarà lui a firmare la Dichiarazione sulla Massoneria: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19831126 _declaration-masonic_it.html Se - ma non abbiamo prove documentali - quel saggio non è una riproposta, una traduzione in lingua francese dal tedesco, di uno studio già pubblicato precedentemente da Ratzinger, dunque se si tratta della prima (originale) pubblicazione (in lingua francese) allora Ratzinger aveva forse rapporti con il direttore della rivista (o viceversa) che dal 1970 e poi fino alla morte (1992) era René Guilly: https://rt.fmtl.fr/accueil René Guilly era lo pesudonimo di René Désaguliers: https://fr.wikipedia.org/wiki/Ren%C3%A9_Guilly un martinista. Nel numero del 1979, dove compare il saggio di Ratzinger, scrive anche il direttore della rivista Désaguliers: https://rt.fmtl.fr/num%C3%A9ros#h.s6l0ugcgn4eq un saggio su Maxim Gorce, prete (era domenicano) e massone: https://hls-dhs-dss.ch/fr/articles/028761/2005-11-28/ 2. MINISTERIUM Benveniste nell'opera summenzionata (e in altre) non ne parla; è, tuttavia, pacifico affermare che il termine appartiene alla lingua latina e propriamente significa "ufficio, funzione, servizio" derivando da minister che significa "servo". E da ministerium , deriva, d'altronde, il termine "mestiere" come ci informa, altresì, sempre Guénon che scrive: "C’est également de ministerium, au sens de « fonction », qu’est dérivé d’autre part le mot « métier »,..." nota 4 : http://www.index-rene-guenon.org/Access_book.php?sigle=AI&page=190 7 Il "mestiere", solitamente, è inteso quale attività lavorativa manuale, pratica, è il "fare" del ministerium , tradizionalmente contrapposta all’arte. Ma l’etimologia ci presenta il mestiere quale ‘ministero’. Il ministero è originariamente un ufficio, una funzione servile, qualitativamente contrapposta al magistero , che invece è la funzione del maestro (dal latino magis , il ‘più’). Minister deriva da minus , minor che significa "meno", quindi "subordinato" (è il "servo"), come qui si scrive: https://www.etymonline.com/it/word/minister appunto contrapponendosi a magis che significa il "più", ciò che sta sopra, come il maestro la cui funzione è il magistero (da questo punto di vista, non appare senza interesse fare riferimento al magistero pontificio che non si da senza il munus , cioè il "dono" che discende dal Signore, da Dio, e che l'eletto accetta diventando Pontifex , cioè "facitore di ponti" tra il superiore e l'inferiore, tra il Cielo e la Terra, per dirla con la tradizione taoista). Ora, ed è questo il punto dirimente sul quale riflettere, minus e minor hanno come radice protoindoeuropea (radice PIE) la stessa radice protoindoeuropea di munus , vale a dire *mei-, ma nella seconda accezione di tale radice, quella che significa "piccolo" e non "dono" (che è la prima accezione, quella da cui deriva munus ), come qui si scrive (tra i tanti siti d'interesse): https://www.etymonline.com/it/word/*mei-#etymonline_v_52688 Ragion per la quale, la sinonimia (nella traduzione italiana dei due termini ma non in latino) che Mons. Bux (ed altri) rilevano tra munus e ministerium , tradotti indistintamente come "ministero", potrebbe far leva sul fatto che entrambi derivano dalla medesima radice protoindoeuropea (radice PIE) che è *mei- che però presenta due differenti accezioni: 1) "dono" - e allora abbiamo munus ; 2) "piccolo" - e allora abbiamo ministerium (da minus , minor ). A nulla rilevando la traduzione italiana sinonimica di entrambi i termini latini con "ministero"; ciò che conta essendo la primigenia radice protoindoeuropea *mei- nelle sue due e differenti accezioni, l'una che rinvia al munus , l'altra che rinvia al ministerium Peraltro e a fortiori , la contraddizione qualitativa tra minor/minus e magis, da cui "magistero", non può non ricollegare quest'ultimo al magistero pontificio che, seppur in senso analogico o anagogico (per dirla con Dante), deriva dal munus , cioè dal "dono" concesso dal Signore, da Dio, all'eletto che accetta il "dono" assumendo le vesti di Pontifex - vale a dire di "facitore di ponti", di "mediatore" tra il magis e il minus , tra il munus e il ministerium , tra ciò che è in alto e ciò che è in basso. Qui il discorso ci porterebbe lontano dovendo analizzare in senso comparativo questi concetti in altre tradizioni, tutte derivando dalla stessa Tradizione primordiale. *** Mons. Bux nell'intervista : https://www.ilpensierocattolico.it/new/wp-content/uploads/2023/11/DON-BUX.pdf 8 continua, di seguito, affermando: In sostanza, Benedetto voleva far comprendere che non sarebbe stato più in grado di esercitare l’ufficio petrino con le sue incombenze di governo, ma avrebbe continuato a esercitare il compito spirituale di sostenere con la preghiera la Chiesa e il successore che i cardinali avrebbero eletto e al quale egli prometteva frattanto riverenza e obbedienza. "...non sarebbe stato più in grado di esercitare l’ufficio petrino con le sue incombenze di governo": è questo il senso corretto etimologicamente di ministerium inteso come "servizio, carica, ufficio che si serve". "...ma avrebbe continuato a esercitare il compito spirituale di sostenere con la preghiera la Chiesa e il successore che i cardinali avrebbero eletto e al quale egli prometteva frattanto riverenza e obbedienza" : è questo il senso corretto etimologicamente di munus, che è il "dono" di Dio che conferisce appunto quel (anche quel) "compito spirituale". Nulla quaestio. Andiamo avanti nella lettura dell'intervista, di seguito Mons. Bux afferma: Il resto, è una saga costruita con un misto di ignoranza e malafede, forse per interessi: frutto di fissazione intellettuale. Le dice nulla che abbiano inventato un “Codice” che rievoca il Codice da Vinci? Forse speravano in un successo analogo. Ora, Andrea Cionci, l'autore del libro intitolato "Codice Ratzinger", è un giornalista, non è un teologo né un avvocato, né un professore di diritto canonico. E purtuttavia, non vale per lui - a mio avviso - l'apoftegma di Karl Kraus: "non avere un pesiero e saperlo esprimere, è questo che fa di qualcuno un giornalista" (in Detti e contraddetti , Adelphi, Milano, 1992): https://aforismi.meglio.it/aforisma.htm?id=2cfc non vale per lui, vale per i giornalisti cosiddetti mainstream , corifei del Sistema, coloro che durante la psico-pandemia ci suggerivano (per usare un eufemismo), tutti i giorni, di vaccinarci altrimenti il virus ci avrebbe fatto morire e potevamo contagiere gli altri e farli morire (ricorda la nota frasetta di Draghi?). Cionci ha un pensiero e l'ha espresso nel libro. E' vero, il titolo ricorda da vicino quello di un altro libro (questo si un best-seller, non quello di Cionci), il "Codice da Vinci" di tale Dan Brown (massone) https://www.avvenire.it/agora/pagine/dan-brown-ai-piedi-della- massoneria_200909170756129330000 questa si - per dirla con Mons. Bux - che è una "saga costruita con un misto di ignoranza e malafede, forse [sicuramente] per interessi". 9 Credo che Cionci abbia utilizzato quel titolo ad effetto in senso giornalistico, non per altro. Per catturare l'attenzione dei lettori, non per altro. Il contenuto del libro lo dimostra, contenuto che non ha nulla a che fare con il titolo. Ciò che conta è il contenuto non il titolo del libro, perché non stiamo parlando di un testo accademico né di un articolo scientifico per Nature o per altre riviste scientifiche degne di nota, dove - quasi sempre - il titolo conta, eccome se conta. "Codice" per intendere nello specifico il concetto della teologia morale che va sotto la denominazione di "restrizione mentale", che può essere "stretta" e "larga". E, nel caso di specie, è questione della restrizione mentale larga Restrizione mentale stretta (quando assolutamente non è possibile, da ciò che si dice, conoscere la verità) e restrizione mentale larga (quando è possibile conoscere la verità che rimane solo velata). La restrizione mentale stretta non è lecita ed è stata condannata dal S. Ufficio (DS 2126-2128). È lecita invece la restrizione mentale larga. Cito da qui: https://www.amicidomenicani.it/distinzione-tra-restrizione-mentale-simulazione-e-dissimulazione/ che scrive di seguito: Non essendoci altro modo per esprimersi, si applica il principio del volontario indiretto: per un fine buono si tollera che dalla propria azione ne esca anche un effetto cattivo, inferiore all’effetto buono. Il Palazzini (è l'allora Card. Pietro Palazzini) dice che in questo caso la restrizione mentale non è causa, ma occasione dell’inganno altrui. I motivi della liceità sono i seguenti: – la restrizione mentale larga non è una vera e propria bugia (ad esempio; la segretaria dice che il padrone non è in casa, sottintendendo che non può o non vuole ricevere); – a volte è assolutamente obbligatorio celare la verità; – sembra che Gesù Cristo abbia usato delle restrizioni mentali quando disse: “Nessuno, neanche il Figlio dell’uomo, conosce l’ora del giudizio” (Mc 13,22): qui è sottinteso che il Figlio non lo sa allo scopo di rivelarlo agli altri. Perciò il confessore che viene interrogato su materia di confessione, deve rispondere di non sapere assolutamente niente. Intendendo dire che non sa nulla che possa rivelare. Così pure devono fare talvolta gli infermieri, i medici , gli avvocati... All'ultima domanda, infine, Mons. Bux risponde in questo modo: Quand’anche i due termini fossero ritenuti l’uno, il munus, l’ufficio in sè di papa, l’altro, il ministerium, l’esercizio della giurisdizione papale, essi restano inscindibili. Non si può rinunciare all’uno senza perdere anche l'altro; me lo confermò proprio lui, Benedetto, in risposta alla questione che gli posi in un colloquio, l’anno successivo alla rinuncia. In quella occasione, gli lasciai un mio testo che lo esponeva distesamente, al quale rispose un mese dopo. Dunque, per utilizzare il noto adagio: simul stabunt, simul cadent Munus/Ministerium: simul stabunt, simul cadent 10 Mons. Bux, a fondamento della sua affermazione, cita la lettera di risposta ricevuta dal "Papa emerito" Benedetto XVI, recante data 21.08.2014, nella quale - segnatamente - i passaggi d'interesse sono contenuti nei primi due paragrafi, i seguenti: Caro Don Bux, finalmente trovo un po' di tempo per rispondere al Suo scritto del 19 luglio, consegnato a me in occasione della Sua visita nel Monastero " Mater Ecclesiae ". La vera risposta alle domande, ventilate da Lei, si trova nelle prime sei righe di numero 1 del Suo testo. Tutto il resto - dice Lei stesso - è un problema "non oggettivo ma solo nostro, mentale". Vorrei scrivere perciò solo alcune brevi osservazioni. Gli "storici autorevoli" e gli "altri teologici" [sta per "teologi", evidentemente] secondo me non sono veri storici neppure teologici [sta per "teologi", evidentemente]. Le speculazioni da loro proposte sono per me assurde. Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato "solo l'esercizio del ministero e non anche il munus " è contrario alla chiara dottrina dogmatica- canonica, citata da Lei in numero 1. Se alcuni giornalisti parlano "di scisma strisciante" non meritano nessuna attenzione. [grassetto e corsivo presenti nel testo originale]. Riproduciamo, ora, "le prime sei righe di numero 1" della lettera inviata da Mons. Bux a Benedetto XVI in data 19.07.2014, cui lo stesso Benedetto, nella risposta, al primo paragrafo, si riferisce: 1. - Dogmaticamente-canonicamente, è stato sempre indubbio e indubitabile che il Papa può rinunciare liberamente, e che la sua rinuncia valga pienamente; anche il suo è un ufficio, che si può accettare e svolgere e al quale si può anche rinunciare con effetto pieno e completo, lasciando vuoto cioè l'ufficio e tutto quanto con esso connesso. Questa è una certezza, non solo "canonica" ma anche filosofica e antropologica (diversamente si tratterebbe di schiavitù). [sono in realtà più di sei righe, dovendo concludersi l'ultimo capoverso a capo]. Bene. Ciò che scrive Mons. Bux al numero 1 è, giustappunto, dogmaticamente e canonicamente indubbio e indubitabile. Invero, il Papa, se rinuncia, deve farlo liberamente senza esservi costretto a farlo, senza violenza fisica, morale e/o psicologica, senza pressioni esterne di alcun tipo, altrimenti come correttamente evidenzia lo stesso Mons. Bux "si tratterebbe di schiavitù" (cioè della "sede impedita"). Ma allora, se così fosse, il termine "ufficio" - usato da Mons. Bux - andrebbe inteso come ministerium e non anche come munus (perché Mons. Bux parla di "schiavitù"). Rinunciando, esclusivamente per cause di forza maggiore e non volontariamente e liberamente, al solo ministerium e non anche al munus si ha la "sede impedita", "si tratterebbe di schiavitù", appunto come scrive Mons. Bux. Invero, non è possibile rinunciare al solo ministerium in maniera libera, ma sempre per cause di forza maggiore (pressioni esterne, violenza fisica/morale/psicologica o altro, eccetera). La lingua italiana non rende affatto bene la distinzione tra munus e ministerium , che però esiste, entrambi traducendoli come "ufficio". 11 ***** Breve intermezzo : Abbiamo già indicato che nel Codice di diritto canonico - nel Liber II, Pars II, Sectio I, Caput I, Art. 1 (De Romano Pontifice) - ricorre il termine munus e non anche ministerium Ragion per la quale, l'obiezione che potrebbe essere sollevata riguarda l'assenza dell'altro termine ministerium nel Liber II, Pars II, Sectio I, Caput I, Art. 1 (De Romano Pontifice). Invece, il termine ministerium , distinto da munus , esiste nei documenti pontifici e lo troviamo espressamente citato nel titolo del Capitolo VII della Seconda Parte della Universi Dominici Gregis : CAPUT VII DE ACCEPTATIONE, PROCLAMATIONE ET INITIO MINISTERII NOVI PONTIFICIS https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/la/apost_constitutions/documents/hf_jp- ii_apc_22021996_universi-dominici-gregis.html In traduzione italiana: ACCETTAZIONE, PROCLAMAZIONE E INIZIO DEL MINISTERO DEL NUOVO PONTEFICE Dove, tra l'altro, se ancora ce ne fosse bisogno, è del tutto evidente che distinto e separato è il momento della "accettazione" del munus , del "dono" concesso dal Signore, da Dio, di essere papa, dal momento dell'inizio del ministero del nuovo pontefice che non può iniziare se non si è accettato il munus subito dopo l'elezione. Di rilievo, altresì, sempre ai fini della distinzione tra munus e ministerium , è il n. 88 della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis : 88. Post acceptationem, electus qui episcopali ordinatione iam pollet est ilico Romanae Ecclesiae Episcopus simulque verus Papa, et Caput Collegii Episcopalis; idemque actu plenam et supremam potestatem in universam Ecclesiam acquirit atque exercere potest. 88. Dopo l'accettazione, l'eletto che abbia già ricevuto l'ordinazione episcopale, è immediatamente Vescovo della Chiesa Romana, vero Papa e Capo del Collegio Episcopale; lo stesso acquista di fatto la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale, e può esercitarla. Dopo l'accettazione (del munus , cioè del "dono" dello Spirito Santo concesso dal Signore), il Papa acquista, ipso facto , la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale ..... e "può esercitarla". Ecco la facoltà, la possibilità introdotta con il verbo "potere" e non con il verbo "dovere". Il ministerium può essere esercitato, successivamente all'accettazione del 12 munus . Significa, implicitamente, che il Papa eletto, il quale abbia accettato il munus, può anche non esercitare la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale che discende dal munus In tale evenienza che accade soltanto (così è stato storicamente) per cause di forza maggiore (come diremmo generalmente), ci troveremmo nel caso della "sede impedita". ***** Quindi, quando Benedetto XVI nella risposta a Mons. Bux scrive: "La vera risposta alle domande, ventilate da Lei, si trova nelle prime sei righe di numero 1 del Suo testo". Egli fa riferimento a ciò che ho scritto sopra, riprendendo esattamente la lettera di Mons. Bux, e cioè che il Papa deve rinunciare liberamente senza esservi costretto a farlo, senza violenza fisica, morale e/o psicologica, senza pressioni esterne di alcun tipo, altrimenti come correttamente evidenzia lo stesso Mons. Bux "si tratterebbe di schiavitù" (cioè della "sede impedita"). Rendendo, quindi, il termine "ufficio" - usato da Mons. Bux - come ministerium e non anche come munus (perché Mons. Bux parla di "schiavitù"). Rinunciando, esclusivamente per cause di forza maggiore e non volontariamente e liberamente, al solo ministerium e non anche al munus si ha la "sede impedita", "si tratterebbe di schiavitù", appunto come scrive Mons. Bux. Invero, non è possibile rinunciare al solo ministerium in maniera libera, ma sempre per cause di forza maggiore (pressioni esterne, violenza fisica/morale/psicologica o altro, eccetera). Tra l'altro, Mons. Bux specifica - nelle suddette sei righe di numero 1 - che l'ufficio (che è il ministerium , non il munus ) è lasciato "vuoto", non scrive "vacante" (è il caso della morte del Papa regnante) ma "vuoto". A maggior ragione, si intende la "sede impedita". Nulla quaestio. Il problema, che potrebbe sollevare qualche apparente perplessità (che si dissolve non appena letta la lettera di Mons. Bux così come l'abbiamo letta), risiede nel secondo paragrafo della risposta, dove Benedetto XVI scrive: Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato "solo l'esercizio del ministero e non anche il munus " è contrario alla chiara dottrina dogmatica- canonica, citata da Lei in numero 1. Se alcuni giornalisti parlano "di scisma strisciante" non meritano nessuna attenzione. Bene. Allora, qui Benedetto XVI (così si firma nel 2014 e poi negli anni a venire) cita tra virgolette una frase, "solo l'esercizio del ministero e non anche il munus ", che Mons. Bux scrive non in numero 1 (le sei righe sopra citate) ma in ciò che precede il numero 1 (o punto 1 che dir si voglia), segnatamente il secondo paragrafo, questo: "Secondo altri teologi, Ella non può ritenere di aver lasciato solo l'esercizio del ministero e non anche il munus , perché con questo si rischia uno scisma". 13 Ora, altra digressione importante : è del tutto evidente che se Benedetto XVI cita quella frase dove si distingue tra ministero (in italiano, in latino ministerium ) e munus , ciò significa, vale la pena di ripeterlo ancora una volta, che sono due termini/concetti distinti e separati, altrimenti non avrebbe avuto alcuna ragione di sottolineare tale distinzione riprendendo, citandola espressamente, la frase di Mons. Bux che, a sua volta, rinvia a non meglio identificati "altri teologi". Bene. Ripetiamo ciò che scrive Benedetto XVI: Dire che nella mia rinuncia avrei lasciato "solo l'esercizio del ministero e non anche il munus " è contrario alla chiara dottrina dogmatica- canonica, citata da Lei in numero 1". Nelle sei righe del punto/numero 1, lo abbiamo visto, Mons. Bux fa riferimento alla "sede impedita" citando la "schiavitù". La chiara dottrina dogmatica-canonica prevede che in caso di rinuncia questa avvenga liberamente senza costrizione alcuna, diversamente si tratterebbe di "schiavitù", vale a dire di "sede impedita". Con riferimento, beninteso, all'ufficio inteso come ministerium , perché, invero, è al ministerium che si rinuncia in caso di "sede impedita" ma lo si fa non liberamente ma sotto costrizione, una qualsiasi costrizione. Dunque, ciò che è "contrario alla chiara dottrina dogmatica-canonica", scrive Benedetto XVI, sarebbe l'aver lasciato "solo l'esercizio del ministero e non anche il munus "- aggiungo io (perché Benedetto XVI rinvia al numero 1 di Mons. Bux): liberamente . In altri termini, Benedetto XVI ci sta dicendo che non si può lasciare - liberamente - solo l'esercizio del ministerium e non anche il munus . L'unico caso in cui questo può accadere si verifica quando il ministerium (ministero) viene lasciato non liberamente , cioè sotto costrizione. Ed è questo esattamente che Benedetto XVI vuole significare sin dal primo paragrafo della lettera dove scrive: "La vera risposta alle domande, ventilate da Lei, si trova nelle prime sei righe di numero 1 del Suo testo". Il numero 1 della lettera di Mons. Bux, infatti, l'abbiamo visto, si riferisce al caso della "sede impedita". Perché la "sede impedita" è un "istituto" (denominiamolo così per capirci) che fa parte della "chiara dottrina dogmatica-canonica" - è previsto nel Codice di diritto canonico: https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/latin/documents/cic_liberII_la.html https://www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/ita/documents/cic_libroII_412-415_it.html Attiene ai Vescovi diocesani, più generalmente alle sedi episcopali, ma si estende, ovviamente, anche al Papa che è il Vescovo di Roma. *** Alla fine del secondo paragrafo, Benedetto XVI aggiunge: Se alcuni giornalisti parlano "di scisma strisciante" non meritano nessuna attenzione. 14 Fa riferimento alla frase di Mons. Bux che scrive: La confusione cresce, e si spera non arrivi all'irreparabile, visto che si comincia a scrivere e parlare di scisma strisciante e di antipapi. Il libro di Socci però esce per Mondadori nel mese di ottobre 2014, Mons. Bux e con lui Benedetto XVI non possono riferirsi a lui. Perché è assurdo parlare di "scisma strisciante" per Benedetto XVI? Il problema non si pone: "non meritano nessuna attenzione". Perché con la "sede impedita" non si realizza nessuno "scisma", essendo un "istituto" canonico previsto dal Codice che non fa venir meno il munus in capo al Sommo Pontefice. **** Al numero/punto 2 della lettera Mons. Bux ci parla della distinzione tra munus e ministerium , quando scrive: "....l'individuo che ricopre un ufficio sacro nella Chiesa, che è un uomo come noi, e la qualità trascendente, l'autorevolezza soprannaturale, inerente l'ufficio,...". La qualità trascendente, l'autorevolezza soprannaturale corrisponde al munus inerente l'ufficio, cioè il ministerium E Mons. Bux per spiegare la distinzione scrive, sempre in numero 2: "Una prova estrema è che, persino nelle repubbliche, l'ex Presidente continua solitamente a godere di uno "status" speciale, formalizzato o no anche se, a livello di verità delle cose [dalla natura stessa di una repubblica], non è più se non un comune cittadino". E continua: "Perciò, taluni nella Chiesa sono arrivati a ragionare così: se il Vescovo diocesano può rinunciare alla sua paternità, perché non il Vescovo di Roma? A livello ecclesiologico, non vi è ragione. In fondo, è il Vescovo di Roma, Vicario di Cristo nella Chiesa locale di Roma, che essendo Successore di San Pietro nella Sede di cui San Pietro era in possesso al momento della sua morte, diventa Successore di Pietro anche nelle sue altre mansioni, notevolmente quella di Vicario di Cristo in terra, Capo visibile della Chiesa universale. Queste sono certezze teologiche giuridiche da sempre". La paternità di un Vescovo diocesano corripondendo al suo munus , al quale può rinunciare, così come può rinunciarvi il Vescovo di Roma, cioè il Papa. Benedetto XVI conferma questo passaggio di Mons. Bux, scrivendo: "Al punto 2, secondo capoverso di pagina 2 direi, che il parallelismo tra il vescovo diocesano e il Vescovo di Roma in riferimento alla questione della rinuncia è fondato". 15 In altri termini, l'istituto della "sede impedita" vale sia per il Vescovo diocesano che per il Vescovo di Roma. **** P