estiere il edagogia della Research in Progress A cent’anni da Democrazia e Educazione di John Dewey A cura di Emma Beseghi e Tiziana Pironi m p m p La collana “Il mestiere della pedagogia” si rivolge agli insegnanti e a quanti operano nei settori dell'educazione e della formazione e cercano lumi e ipotesi di lavoro per la propria pratica professionale. Il presupposto della collana è il seguente: il mestiere della pedagogia consiste nel mettere a punto idee e modelli metodologici per affrontare i problemi delle pratiche educative, a partire da quelli della scuola e dell'insegnamento. Per fare il proprio mestiere la pedagogia non si deve confinare in uno spazio teorico puramente astratto, né in una pratica meramente empirica. Deve invece assumere come proprio dominio i problemi educativi nella loro concretezza storico-sociale , e vedere la teoria come uno strumento per la loro comprensione e la loro soluzione. La pedagogia, cioè, assolve il proprio compito se diventa il “lume” in grado di rischiarare i cammini della prassi educativa. La collana presenta perciò volumi tematizzati sui problemi dell'educazione , ed è arti- colata in due versanti. Il primo versante è dedicato alle ricerche educative , e accoglie volumi nei quali è pre- valente l'aspetto dell'analisi interpretativa di una data problematica formativa, ma il cui apporto è comunque gravido di implicazioni per la pratica. Il secondo versante è dedicato ai paradigmi educativi , e presenta volumi che privilegiano un taglio teorico e metodologico, volto al tempo stesso ad interpretare criticamente le questioni e a definire modelli d'intervento e ipotesi operative (non ricette) da sperimentare nella pratica. Nella collana, sono particolarmente prese in esame le problematiche inerenti alla for- mazione scolastica: la conoscenza e la relazione, l'apprendimento e i vissuti emozionali, il curricolo e l'organizzazione scolastica, i saperi e le strategie didattiche ecc. Ma anche le questioni formative extrascolastiche concernenti l'educazione permanente, il sistema formativo, le agenzie formative del territorio ecc. Il mestiere della pedagogia Collana diretta da Massimo Baldacci 1108 presentazione_Layout 1 21/10/15 16:18 Pagina 1 René Barioni , Haute École Pedagogique, Losanna Luciana Bellatalla , Università di Ferrara Fabio Bocci , Università Roma Tre Franco Cambi , Università di Firenze Enzo Catarsi , Università di Firenze Giorgio Chiosso , Università di Torino Enza Colicchi , Università di Messina Michele Corsi , Università di Macerata Mercedes Cuevaz López , Universidad de Granada Francisco Diaz Rosas , Universidad de Granada Liliana Dozza , Università di Bolzano Silvia Fioretti , Università di Urbino Massimiliano Fiorucci , Università Roma Tre Franco Frabboni , Università di Bologna Eliana Fraeunfelder , Università di Napoli Patrizia Gaspari , Università di Urbino Giovanni Genovesi , Università di Ferrara Cosimo Laneve , Università di Bari Isabella Loiodice , Università di Foggia Umberto Margiotta , Università di Venezia Carlo Marini , Università di Urbino Berta Martini , Università di Urbino Maria Chiara Michelini , Università di Urbino Franco Nanetti , Università di Urbino Riccardo Pagano , Università di Bari Teodora Pezzano , Università della Calabria Franca Pinto Minerva , Università di Foggia Mario Rizzardi , Università di Urbino Pier Giuseppe Rossi , Università di Macerata Roberto Sani , Università di Macerata Vincenzo Sarracino , Seconda Università di Napoli Giuseppe Spadafora , Università della Calabria Francesco Susi , Università Roma Tre Giuseppe Trebisacce , Università della Calabria Simonetta Ulivieri , Università di Firenze Angela Maria Volpicella , Università di Bari Miguel Zabalza , Universidad de Santiago de Compostela Ogni volume è sottoposto a referaggio a “doppio cieco”. Il Comitato scientifico svolge anche le funzioni di Comitato dei referee. m p Il mestiere della pedagogia Collana diretta da Massimo Baldacci 1108 presentazione_Layout 1 21/10/15 16:18 Pagina 2 estiere il edagogia della Research in Progress A cent’anni da Democrazia e Educazione di John Dewey A cura di Emma Beseghi e Tiziana Pironi m p 17:01 Pagina 2 Pubblicazione realizzata con il contributo del Dipartimento di Scienze dell’ Educa- zione “Giovanni Maria Bertin”. Editing, cura redazionale, impaginazione e coordinamento organizzativo: Alessandro Soriani. Isbn open access: 9788891786418 Copyright © 2019 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy. L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore ed è pubblicata in versione digitale con licenza Creative Commons Attribuzione-Non Commerciale-Non opere derivate 3.0 Internazionale (CC-BY-NC-ND 3.0) L’Utente nel momento in cui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso dell’opera previste e comunicate sul sito https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/deed.it 5 Indice Introduzione , di Emma Beseghi e Tiziana Pironi pag. 9 Ripensando Democracy and Education , di Luciana Bellatalla » 15 Una comunità di ricerca “in progress” , de il gruppo di dottorandi in Scienze Pedagogiche del Dipartimento di Scienze dell’Educazione “G.M. Bertin” (cicli 29°,30° e 31°) » 25 Parte prima Esperienza e Pensiero Introduzione – la sfida della riflessività , di Maurizio Fabbri » 29 Philosophy for Children: un’esperienza del pen- sare... insieme , di Mariangela Scarpini » 32 Influenze deweyane nella pratica didattica di un maestro nell’Italia del secondo dopoguerra , di Chiara Venturelli » 47 Sostando sul limite, in dialogo con John Dewey: esperienza, narrazioni e possibilità , di Gabriele Brancaleoni » 63 6 ePortfolio e lifelong learning : traiettorie di connes- sione con il pensiero di John Dewey in «Democra- zia e Educazione» , di Alice Baldazzi » 79 Letteratura per l’infanzia e John Dewey: l’attualità dei “classici” , di Francesca Farinelli » 92 Parte seconda Ambienti e Relazioni Introduzione , di Roberta Caldin » 107 John Dewey e Hannah Arendt: due pensatori dello spazio sociale , di Marta Ilardo » 110 Oltre i dualismi, oltre le frontiere. Rileggere Demo- crazia e Educazione al tempo delle famiglie divise dai confini , di Marta Bertagnolli » 125 Interventi educativi domiciliari: riflessioni sul con- tributo del pensiero di John Dewey a cent’anni da «Democrazia e educazione» , di Alessandra Parpinello » 138 Le famiglie in un entre-deux culturale: una ricerca sulle sfide e le risorse della mixité culturale in am- biente familiare afro-italiano alla luce del pensiero di John Dewey , di Claire Lajus » 149 A scuola con Dewey. Alla luce del pensiero deweyano, alcune riflessioni sulle attuali dinami- che scolastiche connesse ai Bisogni Educativi Speciali , di Giulia Righini » 166 Parte terza – Continuità e Linguaggi Introduzione , di Tiziana Pironi » 181 Per un laboratorio di parole, comunità educante di democrazia , di Alessia Lusardi » 184 7 Le innovazioni della rete web a supporto della di- dattica universitaria , di Giada Trisolini » 199 “Interessarsi” e “disciplinare”: la continuità delle dinamiche relazionali mediate da ambienti digitali , di Alessandro Soriani » 210 Coeducazione e forme di cittadinanza delle donne nel dibattito primonovecentesco a partire da al- cune categorie deweyiane di Loredana Magazzeni » 226 Parte quarta – Scopi e Direzioni Introduzione , di Maria Lucia Giovannini » 241 Accoglienza e responsabilità sociale come scopi dell’ideale democratico , di Marta Salinaro » 246 Così lontani così vicini: Marx e Dewey , di Palmiro Potentino Propato » 257 Democrazia e partecipazione sociale, a partire dal pensiero di John Dewey , di Luca Decembrotto » 272 La professionalità dell’insegnante: riflessioni a partire dal pensiero di John Dewey , di Maurizio Betti » 282 Postfazione , di Raffaele Mantegazza » 289 9 Introduzione di Emma Beseghi e Tiziana Pironi Siamo veramente liete di pubblicare i contributi della terza edizione di Research in progress, importante appuntamento che da quattro anni a questa parte vede protagonisti i dottorandi e le dottorande, appartenenti ai tre cicli del Dottorato di ricerca in Scienze Pedagogiche del nostro Dipartimento. Ogni edizione porta un timbro originale e la vivacità di uno spirito pro- gettuale che nel tempo si è consolidato e arricchito, in virtù dell’individua- zione di un’idea, di un nucleo tematico capace di tener insieme diversi pro- getti di ricerca: dall’edizione inaugurale, in cui i dottorandi hanno sperimen- tato per la prima volta una pratica di lavoro condiviso con l’allestimento di una mostra con i poster sulle loro ricerche, alla seconda edizione, in cui essi, oltre alla predisposizione di un video dedicato al tema della ricerca , hanno organizzato il seminario-workshop Sguardi oltre i confini , frutto di un lavoro di gruppo, articolato per sezioni tematiche, intenzionalmente trasversali ai loro progetti d’indagine, afferenti alle quattro aree del sapere pedagogico 1 La terza edizione ha poi visto il coinvolgimento attivo dei dottorandi che si sono cimentati in una nuova sfida, per loro molto appassionante, che ha trovato un’occasione preziosa nella ricorrenza del centenario della pubblica- zione di Democrazia e educazione di John Dewey. Un classico che continua ad offrire sempre nuovi stimoli e che si è rivelato davvero, per parafrasare Umberto Eco, un'“opera aperta”, un testo infinitamente dilatabile, carico di prolungamenti e anticipazioni sempre attuali. Come è noto, l’opera di Dewey ha orientato la riflessione pedagogica in Italia a partire dal secondo dopoguerra ed ha rappresentato un costante riferimento nel dibattito culturale e scientifico riguardante sia gli oggetti, sia 1 Vogliamo ricordare che a conclusione di quella giornata, così ricca e densa, Alessandro Bergonzoni, voce audace e insolito maestro del dubbio, con piglio ironico e dissacrante, ci regalava un monologo sulla ricerca ( “Sguardi oltre i confini...” -Seconda Edizione di Re- search in progress , con la partecipazione di Alessandro Bergonzoni, Dipartimento di Scienze dell’Educazione “G. M. Bertin”, 28 maggio 2015). 10 i metodi di un sapere, quello della pedagogia, sempre più focalizzato sui pro- blemi emergenti dai contesti esperienziali, senza per questo rinunciare a una riflessione di ordine epistemologico, etico e politico, sempre dialogante con le altre scienze umane, innanzitutto con la filosofia, con la psicologia, con la sociologia. Con alterne fortune, il riferimento a Dewey ha dunque attraversato il di- battito pedagogico contemporaneo, ed ha assunto, a partire dagli anni No- vanta, un ruolo centrale nella messa a fuoco degli spazi di indagine e di in- tervento che la pedagogia ha cercato, di volta in volta, di guadagnarsi in ri- ferimento alle emergenze culturali, politiche e sociali del nostro tempo. Così, a cent’anni di distanza, Democrazia e educazione , che nell’unione di queste due parole-chiave racchiude il significato più profondo della rifles- sione pedagogica e dell’impegno etico-sociale di Dewey, ha fatto da sfondo e da direzione di senso al lavoro dei dottorandi, alimentando un confronto e uno scambio per loro estremamente stimolanti. Attraverso una rilettura at- tenta, hanno reinterpretato il testo partendo dai loro differenti percorsi di ri- cerca; si è trattato di un lavoro condiviso, scandito da diverse fasi, che ha richiesto anche la presenza, in corso d'opera, di un approfondimento semina- riale con Luciana Bellatalla, nota studiosa di Dewey, per giungere infine all’individuazione di quattro parole-chiave: Esperienza e pensiero ; Ambienti e relazioni ; Continuità e linguaggi ; Scopi e direzioni . Nuclei forti intorno ai quali hanno trovato convergenza i quattro gruppi di lavoro dei dottorandi, che hanno scandito quella giornata del 6 dicembre 2016, e che ora costitui- scono l’articolazione delle quattro sezioni tematiche del presente volume. Riscoprire il grande classico di Dewey, riflettendo sull’onda lunga di al- cuni suoi nodi concettuali, ha condotto i dottorandi, durante la fase prepara- toria del seminario, a uno stimolante confronto nell'individuare nessi e col- legamenti tra i loro progetti di ricerca; un confronto che ha generato chiari- ficazione, portandoli oltretutto a mettere in discussione visioni particolaristi- che e frammentate delle loro ricerche in corso d'opera. La capacità di mettersi in gioco durante gli incontri, in vista della presentazione, discussa e insieme condivisa, è stato un percorso di crescita, sia intellettuale che umano, un la- voro di tipo partecipativo che è andato certamente al di là di un'offerta for- mativa più ufficiale e codificata, di tipo unidirezionale. L’appuntamento annuale del Research in progress, reso così esplicativo nel suo significato con l’edizione dello scorso anno , rappresenta dunque per i nostri dottorandi un’occasione per mettersi in gioco, sempre in modo nuovo e diverso, trovando un filo conduttore che faccia da raccordo tra i loro per- corsi di ricerca. Un appuntamento che, come si è detto, non si esaurisce so- lamente nell’arco di una giornata, in cui essi possono esercitare competenze legate alla comunicazione, rilanciando lo scambio e la conoscenza dei loro 11 progetti presentandoli in pubblico. Esso viene infatti a rappresentare un vero e proprio modus operandi , sperimentato durante l’intero percorso triennale, in grado di attivare una sorta di comunità permanente, una comunità di con- fronto, di elaborazione e sviluppo di pensiero critico. Una collaborazione ge- nerativa di nuova conoscenza, che implica, per dirla con Franco Cambi, una “riflessività aperta”, in base alla quale non è tanto importante la capacità di esporre o di spiegare, bensì di argomentare ciò che si alimenta dal confronto nell’affrontare problemi di ampia portata (Cambi, 2009, p. 106). La messa in comune delle rispettive ricerche, afferenti alle quattro diffe- renti aree della pedagogia (storica, teoretica, didattica, sperimentale) implica un confronto attivo che spinge a chiarire lati oscuri, problematicità, aprendo al tempo stesso a nuove istanze, ipotesi procedurali, nell’individuare le pos- sibili convergenze e interconnessioni tra le diverse tematiche affrontate. Una ricerca in fieri che si distingue nettamente dalla semplice riproduzione statica di saperi codificati. Ciò che indubbiamente ha reso qualificante l’esperienza messa in atto dai dottorandi è stato proprio il ruolo attivo da loro esercitato lungo l’intero percorso triennale, che li ha visti protagonisti di un processo di co-produzione della conoscenza, molto lontano da un modello tradizionale di dottorato, condotto in solitaria, in un rapporto quasi esclusivo col tutor di riferimento, al fine dell’elaborazione della tesi. Lo spazio lasciato ai dottorandi per la gestione in autonomia della loro formazione culturale ha perciò generato un forte senso di appartenenza, lo sviluppo di un clima di reciprocità, implicando pure la nascita di forti reti di sostegno, soprattutto tra coloro, iscritti al terzo anno, giunti alla fase conclu- siva del loro percorso, e quelli più giovani (del primo e del secondo anno) che hanno potuto spesso far tesoro delle esperienze e dei consigli dei colleghi più maturi, nell’affrontare dubbi, problemi, difficoltà. Il dottorato, vissuto come spazio di incontro, di condivisione quotidiana di esperienze, viene così a caratterizzarsi come luogo di crescita personale, oltre che culturale, in cui lo studio individuale, metariflessivo e autocritico, interagisce continuamente con la partecipazione a una “comunità di pratica”, come ci insegna Etienne Wenger (1998). La comunità di pratica viene perciò sempre più a qualificarsi come una strategia fondamentale di apprendistato alla ricerca, a partire dalla comunità locale dei dottorandi, come nel caso di Bologna, e via via sempre più allargata alle comunità di ricerca nazionali e internazionali. Nell’ottica della formazione di un futuro ricercatore, capace di sviluppare ampie reti cooperative di livello mondiale, il Bologna Process (1999) – il processo di riforma a carattere europeo che si propone di realizzare uno spa- zio europeo dell’istruzione superiore – ha giustamente collocato il Dottorato al massimo livello della filiera formativa, all’apice della comunità scientifica. 12 Nel 1999, col Bologna Process si evidenzia la dimensione sociale dell’Istruzione Superiore, concepita come una comunità di ricercatori aperta alla collaborazione con studiosi di ogni parte del mondo al fine di rispondere alle sfide emergenti dell’intero pianeta in termini di innovazione e di svi- luppo. Con le successive Conferenze di Berlino (2003), di Bergen (2005), di Londra (2007) sono stati posti nuovi obiettivi in vista della costruzione di uno spazio europeo dell’istruzione superiore e dell’alta formazione alla ri- cerca. Introdotto formalmente in Italia nel 1980, in notevole ritardo rispetto agli altri Paesi europei, e attivato di fatto a partire dal 1983, il Dottorato di ricerca ha visto nel corso di questi trentacinque anni una serie di mutamenti che ne hanno cambiato in parte le finalità. Nato inizialmente con l’unico obiettivo di formare futuri ricercatori in vista della carriera accademica, attraverso un lento sviluppo, è venuto invece a delinearsi sempre più come il Terzo livello della formazione, aprendo il mondo della ricerca a quello del lavoro, dalle aziende agli enti pubblici e privati. Occorre tuttavia riconoscere che allo stato attuale appaiono ancora largamente insufficienti il riconoscimento e la valo- rizzazione del dottorato come risorsa a livello sociale e produttivo, non sol- tanto nell’ambito delle cosiddette scienze ‘dure’. Inseguito dai giovani come aspirazione o traguardo ambizioso, oppure te- muto come parcheggio non garantito in un paese dove si diventa dottori tre volte, il dottorato, al di là delle visioni strategiche lungimiranti con cui è stato progettato, è stato indebolito dalla progressiva riduzione delle risorse finan- ziarie e da una normativa estremamente vincolante in termini di accredita- mento (Regolamento 2013). Entrando nel merito del dottorato in Scienze Pedagogiche del nostro Di- partimento, esso esprime e mette in risalto le irrinunciabili e spesso poco conosciute declinazioni del ruolo, del peso, dell’importanza della formazione e delle sue potenzialità nei differenziati settori dell’educazione. Con un’ar- chitettura strutturata su due indirizzi (pedagogico/storico-educativo e didat- tico/sperimentale), centrata il primo anno su quattro focus di approfondi- mento delle diverse aree, prevede al secondo anno un soggiorno di studi all’estero che spesso si trasforma in co-tutele, ovvero in convenzioni con università straniere che vincolano al rilascio di un doppio titolo oppure al raggiungimento del titolo doctor europaeus Ciò che comunque ci preme qui sottolineare, nella doppia veste di coor- dinatrici, in questo passaggio del testimone, di fine e inizio mandato, che coincide proprio con questa nuova avventura del Research , dedicato a De- mocrazia e Educazione , è il senso profondo di una comunità di ricerca ope- rante, a cui i nostri dottorandi hanno saputo dar vita con grandi dosi di co- raggio e di entusiasmo. 13 Le curatrici desiderano ringraziare particolarmente il dott. Alessandro So- riani per il prezioso lavoro di editing, cura redazionale, impaginazione e se- greteria organizzativa prestata al volume. Bibliografia AA.VV., (2014). “La via europea del Dottorato alla qualità all’internazionalizzazione e all’occupabilità”, Numero Monografico di Pedagogia oggi , 1/2014, semestrale SIPED. Cambi, F. (2009). L’Alta Formazione nelle scienze dell’educazione, in P. Orefice, A. Cunti (a cura di), La formazione universitaria alla ricerca. Contesti ed esperienze nelle scienze dell’educazione, FrancoAngeli, Milano, 2009, pp. 103- 109. Wenger, E. (1998). Community of practice. Learning, meaning and identity , CambridgeUniversity Press, New York, 1998 (trad. it. a cura di G. Scaratti, Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità , Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006). 15 Ripensando Democracy and Education di Luciana Bellatalla La lezione di Democrazia e educazione Tralascerò un discorso meramente espositivo del pensiero di Dewey per focalizzarmi su alcuni – pochi – aspetti del suo pensiero e prendendo spunto da un fatto occasionale, vale a dire il fatto che quest’anno cada il centenario della prima pubblicazione di Democrazia e educazione , un’opera punto d’ar- rivo di un lungo periodo di elaborazione e revisione di idee, temi e prospet- tive che parte dagli anni Novanta dell’Ottocento, quando, da epigono della sinistra hegeliana, Dewey approda ad un ripensamento del tutto originale di suggestioni idealiste, che andranno a costituire un fondo permanente della sua personale prospettiva, e quindi alla definizione del suo strumentalismo. Dal 1890 al 1916, Dewey scrive molto, ripensa ai suoi maestri ideali, primo fra tutti Hegel, senza trascurare quel Kant su cui ha svolto la sua tesi di laurea; incontra Darwin e i “maestri” del pragmatismo; a Chicago, final- mente, esce dalle aule universitarie per osservare la realtà sociale e confron- tare con essa le sue idee filosofiche: sarà un percorso di trasformazione, da cui uscirà non solo pragmatista o strumentalista, ma ormai e per sempre li- beral e radicalmente progressista. Ma soprattutto necessariamente e irresisti- bilmente “attratto” dall’universo dell’educazione. Tuttavia, fino al 1916, Dewey resta un filosofo ad orientamento sistema- tico, secondo la tradizione ottocentesca su cui si era formato. Dopo il 1916, egli entra a pieno titolo nella contemporaneità, diventando anche un pensa- tore sistemico. Se non cesserà di osservare e trattare ogni aspetto dell’esi- stenza, come emerge anche da un sommario sguardo all’elenco delle sue pubblicazioni, ad ogni buon conto proprio a partire da Democracy and Edu- cation , come ho sottolineato altrove 1 questa istanza sistematica si trasforma 1 Cfr. la mia introduzione a L. Bellatalla (a cura di), “Ricezione di John Dewey in Europa e America” , n. 2 (Luglio-Dicembre 2016) della rivista on-line Espacio Tiempo y Educación ; 16 in un’istanza alla complessità cercando di mettere sempre in luce un percorso di senso della conoscenza, della cultura e dell’esistenza, nel quale ed in virtù del quale tutti gli elementi o gli aspetti dell’esperienza presi in esame si danno in una inestricabile relazione e, quindi, anche in una insuperabile aper- tura e in una sostanziale problematicità reciproca 2 Con l’idea di complessità Dewey evidenzia quella dimensione del proba- bile, dell’ipotetico e dell’incerto che gli consente di sottolineare sempre di più il concetto di esistenza (e, quindi, esperienza ed anche percorso educa- tivo) come ricerca della certezza e di concepire la verità non come un dato, ma come un orientamento logico, ossia come “asseribilità garantita”. Il 1916 va, dunque, considerato un anno di svolta e Democracy and Edu- cation il manifesto di questo nuovo indirizzo filosofico, preparato dalle opere precedenti e destinato a dare frutti sempre più consistenti, di fatto, fino alla vecchiaia dell’autore. A confortarci in questa idea viene la stessa struttura di Democracy and Education , i cui contenuti, apparentemente disparati, possono, come ho varie volte notato e non posso esimermi dal notare anche in questa occasione, rag- grupparsi intorno a cinque nodi tematici, che finiscono per descrivere una completa visione del mondo, con quei caratteri, quegli aspetti e quegli ele- menti che riescono a conferire al mondo degli uomini significato e soprat- tutto senso. Nell’opera del 1916 il lettore, infatti, approda ad una concezione dell’educazione nelle sue varie declinazioni attraverso la definizione di: 1. una teoria della conoscenza, che riprende in maniera chiara e certo più effi- cace le tesi di How we Think ; 2. una teoria dell’ambiente umano, naturale e storico, basata sull’idea di relazione e con una forte istanza olistica; 3. l’idea di vita come crescita continua al punto che storia e cultura sono presenti non come passaggio da una fase all’altra o come ricapitolazione e ripetizione del passato; 4. il nesso tra metodo dell’intelligenza e educazione; 5. il legame tra educazione e vita sociale. Siamo in presenza di una costruzione complessa o sistemica perché per la prima volta con chiarezza maggiore di quanto aveva tentati di fare in How ma anche il mio intervento al convegno sui cento anni dell’opera deweyana, svoltosi nel no- vembre 2016 presso l’università di RomaTre, dal titolo Note in margine a Democracy and Education , un’opera “inattuale” (in corso di stampa). 2 Nel capitolo XXIV di Democracy and Education , dedicato alla filosofia dell’educazione, come ho già avuto modo di notare nell’articolo citato alla nota precedente, Dewey afferma chiaramente che il compito della filosofia è cercare di comprendere, ossia di raccogliere in un “singolo tutto inclusivo” i vari particolari osservati o vissuti; sistemare ogni particolare nel suo contesto; dare compiutezza al mondo, sforzandosi di andare oltre le apparenze per scoprire i legami tra i disparati aspetti dell’esperienza. 17 We Think , Dewey definisce questi cinque nodi tematici come interdipen- denti: ciascuno dipende dall’altro e, insieme, lo giustifica, lo prepara logica- mente e lo legittima. Il protagonista dell’intera, complessa costruzione è e resta il pensiero, in- teso come il processo, il metodo e la funzione dell’atto riflessivo. Così era stato già in How We Think e così sarà fino a Logic e a Knowing and The Known , l’opera della tarda maturità scritta in collaborazione con il discepolo e collega Arthur Bentley: senza il pensiero, diventa impossibile costruire lo stesso concetto di educazione, che in Dewey, acquista progressivamente, a partire dal 1896, sempre maggiore consistenza teorica. La conoscenza, atto e frutto insieme del pensiero, non a caso si definisce come un processo fon- dato un progetto che, in quanto tale, allerta varie fasi dell’esperienza e vari aspetti delle capacità umane. Né va dimenticato che le idee devono farsi stru- mento dell’esperienza, in un ininterrotto vincolo tra pensare ed agire (nel quotidiano), tra teoria e prassi, nelle fasi più raffinate dei processi culturali. Ma sempre nel rispetto di un metodo, prima di tutto logico, di carattere scien- tifico. Il legame con l’educazione appare in tutta evidenza; si presenta come ne- cessario e, quindi, ineludibile. Se l’educazione è garantita dall’uso efficace del pensiero, come emerge fin da How We Think 3 , tuttavia il pensiero non è una facoltà statica, una sorta di corredo dato una volta per tutte al soggetto che può servirsene ad libitum , ma è un processo che deve essere continua- mente educato e ri-educato. Si potrebbe dire che il soggetto umano è ragio- nevole in potenza, ma deve far passare la sua potenzialità all’atto, educan- dola: insomma, la ragionevolezza e le capacità logiche, per essere acquisite, vanno esercitate ed alimentate. E come farlo se non attraverso l’educazione? Anzi, attraverso un’educazione ininterrotta che coincide con il corso della vita stessa e non è circoscritta al solo momento della frequenza della scuola e, quindi, dell’istruzione. Ciò implica, necessariamente, una revisione del rapporto tra ambiente e società, tra natura e cultura rispetto al passato ed alla tradizione: la crescita dei soggetti, infatti, si fonda e si realizza come la sinergia tra natura, intesa come potenzialità, e dimensione culturale, in cui si evidenziano bisogni e interessi, senso di appartenenza ad un corpo comune (come Dewey sottoli- neerà in A Common Faith con un orientamento di civile religiosità), e come urgenza di abbattimento delle barriere e delle stratificazioni sociali, al fondo, come si legge nell’opera del 1916, il significato più vero e profondo di un stile di vita democratico. 3 Cfr. L. Bellatalla, John Dewey, epistemologo della pedagogia e della didattica, in G. Genovesi, Pedagogia e didattica alla ricerca dell'identità, Milano, FrancoAngeli, 2003, pp. 113-130. 18 Dunque, posso ripetere ciò che da tempo vado affermando: il pensiero postula la necessità dell’educazione come questa postula il metodo dell’in- telligenza. Lo stile di vita democratico nasce, può radicarsi e vivere proprio, e sarei tentata di dire solo, nel punto di incontro e di raccordo tra natura, ambiente sociale e cultura. E quel punto di incontro e di raccordo non si po- trebbe definire in maniera più adeguata e appropriata se non con il termine educazione. Un’esperienza individuale e sociale come quella che Dewey descrive, cioè aperta e continua, volta alla continua ricostruzione di situazioni e con- testi, attraverso un metodo d’indagine scientificamente orientato, che sugge- risce l’importanza e la fecondità dell’ipotetico e del probabile rispetto al dato indiscutibile, al dogmatico ed allo statico non può che approdare alla demo- crazia. E ad una democrazia come orientamento morale e stile di vita più che ad una democrazia quale rituale di gestione della vita pubblica. Solo un inin- terrotto processo di formazione umana e civile garantisce la libertà in tutti i suoi aspetti, ossia come libertà di espressione, di fede religiosa, di manife- stazione politica e vorrei aggiungere, di orientamento nelle scelte più intime e private e, quindi garantisce anche la certezza e la sicurezza dei diritti giu- ridici e civili. Dewey non è l’interprete servile della vita del suo tempo e della sua realtà sociale, che, pure osserva (e per lo più critica e, anzi, critica tanto più quanto più ne vede i pericoli e le degenerazioni 4 ); il suo approdo alla democrazia è necessario, perché è preparato, sorretto e difeso dal suo stesso modo di pen- sare. Dal 1916 in poi, egli non fa che determinare le condizioni concettuali grazie alle quali una democrazia può esistere: da un lato, il metodo dell’in- telligenza, che non vuole vincoli precostituiti se non quelli posti dai princìpi logici, ossia dalle leggi stesse che lo regolano; dall’altro, il processo-percorso educativo, il pensiero si esplica. Chi pensa necessariamente si educa come chi educa non può che essere abituato all’uso metodico e creativo del pen- siero. Di qui le indicazioni didattiche e organizzative di Dewey: se scuola e in- segnante sono due pilastri della sua costruzione pedagogica, il modello di- dattico che propone non è una scuola attiva, ma una scuola-laboratorio, in cui il conoscere è sempre e necessariamente uno sperimentare e in cui gli alunni imparano, accanto ai maestri, ad esercitare il pensiero. 4 Senza entrare nel merito della questione, mi limito a rimandare alle riflessioni politiche che egli pubblicò in articoli e saggi, come Liberalism and Social Action , dopo la crisi econo- mica del 1929 e fino, in pratica, allo scoppio della , seconda guerra mondiale, attaccando con coerenza i totalitarismi occidentali, chiarendo il suo rapporto con il comunismo e, al tempo stesso, descrivendo una deriva anti-democratica (benché formalmente non totalitaria) negli USA dopo il 1929, sempre meno “laici” e asserviti a lobby economiche e politiche. 19 A distanza di un secolo non dovremmo tuttavia dimenticare che da questa impostazione sono derivate delle suggestioni evergreen, quali, ad esempio, la pregnanza del nesso tra teoria e pratica; l’istanza alla laicità; l’ineludibilità della formazione degli insegnanti; la concezione di una formazione unitaria ed integrale; il significato della storia come luogo delle scelte individuali, civili e sociali; e, infine, il valore dell’impegno di tutti e di ciascuno nella costruzione della società, in quanto comunità di tutti. In conclusione, Dewey ci invita a riflettere sul fatto l’educazione non un’attività che si può organizzare efficacemente e soddisfacentemente sull’onda di suggestioni contingenti o di mode, magari seduttive: essa ha bi- sogno, alla sua base di un’idea regolativa di educazione (che Dewey, ab- biamo visto, ravvisa nel corso e nel metodo del pensare), per non restare al livello di mera empiria o peggio di improvvisazione. La scuola, quale centro irradiatore del processo continuo dell’educazione, come Dewey ha già chiaro nel 1899 con The School and Society , non può avere una posizione ancillare rispetto a esigenze economiche o ideologiche o individualistiche di nessun genere: essa, sebbene si sia costituita concreta- mente anche per far fronte a quella separazione tra la vita e la produzione determinata dalla rivoluzione industriale, ha tuttavia una ragion d’essere, tutta teorica, vale a dire indipendente da bisogni contingenti, perché è defi- nita dall’idea stessa di educazione e, quindi, dall’intrinseca costituzione del pensiero. Perciò, essa è di necessità laica come il metodo che applica e su cui è fondata la sua necessità di luogo dell’educazione, posto al centro di un si- stema formativo che abbraccia sistemicamente tutte le manifestazioni sociali e culturali (dal Museo al Teatro, dalla fabbrica alla famiglia) e tutte le agen- zie (esplicitamente o implicitamente) formative di dato contesto socio-cultu- rale. Per questo motivo, l’universo educativo è fondato sulla relazione – tra le sue parti costitutive, tra i soggetti che lo popolano, tra i gruppi che lo de- finiscono – ed è necessariamente aperto ed inclusivo 5 : come, infatti, l’edu- cazione coincide con il corso della vita e non può né deve, pertanto, cono- scere interruzioni, così la scuola deve entrare in rapporto con tutti i soggetti individuali e sociali, con i quali, attraverso i quali e per i quali, essa determina la parte formale della sua azione formativa. Come l’educazione copre di ne- cessità l’intero corso della vita, così essa deve dilatarsi all’intero contesto in cui la vita si svolge e si sviluppa. Come la vita è un’avventura intrinseca- mente educativa così la società deve trasformarsi in una comunità necessa- 5 Su questo aspetto ho particolarmente insistito nella conclusione del mio già citato inter- vento (ora in corso di stampa) al convegno romano del novembre 2016.